Lusso, amanti e vacanze: «Catturiamo i latitanti con una grande inventiva»

Lusso, amanti e vacanze: «Catturiamo i latitanti con una grande inventiva»
di Giuseppe Crimaldi
Giovedì 26 Agosto 2021, 23:58 - Ultimo agg. 27 Agosto, 12:06
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Estate 2021 nerissima per i superlatitanti di camorra. Cinque operazioni messe a segno nell’ultimo mese dalle forze dell’ordine contro la criminalità organizzata, un successo investigativo dietro il quale resta un lungo (e spesso oscuro) lavoro scandito da professionalità e sacrifici destinati a rimanere nell’ombra. L’arresto di un mafioso rischia di apparire solo come conseguenza di un colpo di fortuna. Ovviamente non è così.

Dare la caccia al topo richiede competenza, acume e soprattutto sacrificio. Si lavora in segreto, notte e giorno negli uffici della Questura, delle caserme di carabinieri e guardia di finanza, come nelle “sale ascolto” della polizia giudiziaria, in Procura. Ore e ore incollati alle cuffie, per ascoltare le conversazioni sotto intercettazione telefonica o ambientale; si resta rintanati in anonimi furgoni parcheggiati agli angoli di strade, ci si traveste da operai dei telefoni per riuscire a piazzare una “cimice” in abitazioni o automobili riuscendo a non farsi scoprire.

E ci vuole inventiva, ma tanta. Anche e poi serve anche un pizzico di fortuna. Correva l’anno 2007, i fratelli Salvatore e Pasquale Russo - che dai tempi di Carmine Alfieri restavano saldamente al vertice della cosca di camorra che nel Nolano continuava a seminare terrore e morte - rimanevano imprendibili. Un giorno i carabinieri, d’intesa con la Procura, decisero di giocare d’astuzia. Architettando un piano diabolico. Avevano saputo che la moglie di uno dei due boss aveva necessità di un mixer in cucina, e così piazzarono nell’elettrodomestico una spia capace di intercettare anche il minimo respiro nel giro di decine di metri, e dunque tutto quello che sarebbe stato detto in quella casa lo avrebbero sentito i militari. «Peccato però - racconta il magistrato che coordinava all’epoca le indagini - che nonostante l’ascolto attento e continuo, i familiari dei Russo erano delle “tombe”, e mai fecero accenno al covo dove i due si nascondevano.

I germani vennero comunque stanati un anno dopo, ed ora sono al 41 bis.

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In prima linea nella ricerca dei latitanti ci sono gli uomini e le donne del Reparto Investigativo dell’Arma, gli uomini dello Sco e del Dac della Polizia di Stato e le fiamme gialle del Gico. Una élite investigativa di altissimo profilo: li chiamano gli “acchiappafantasmi”.

È loro il merito di avere assicurato alla giustizia tanti ricercati, boss, gregari, feroci killer dei clan di camorra. Gli ultimi nomi finiti nella rete: Maria Licciardi, Raffaele Imperiale, Raffaele Mauriello, Giuseppe Vacca, Gennaro Esposito. Sono solo gli ultimi di una lunga serie di criminali presi e finiti in galera. «La latitanza - spiega al “Mattino” un investigatore esperto della Questura di Napoli - ha un costo, quasi sempre molto alto per chi si dà alla macchia. Richiede innanzitutto soldi, tanti soldi, e poi una rete di rapporti di complicità e connivenze non sempre facili da blindare totalmente. Ed è anche su quella ragnatela spesso apparentemente impenetrabile che ci soffermiamo. In ogni caso il latitante più difficile da individuare resta quello che non parla mai al telefono, incontra solo gente fidatissima e comunica con i suoi luogotenenti solo attraverso pizzini o una rete di citofoni interni, come faceva ad esempio Michele Zagaria».

Tra i segreti di un lavoro svolto nell’ombra, le procedure, i tempi interamente modellati sulle abitudini dei ricercati, le strategie d’azione e le tecniche d’indagine dei cacciatori di ricercati c’è anche quella che privilegia le passioni del latitante. A tradirlo possono essere spesso la passione per le donne, per gli affetti familiari, talvolta anche per la buona cucina.

È entrata ormai nella narrativa camorristica la storia che avrebbe portato i carabinieri ad individuare il covo nel quale si nascondeva il boss Paolo Di Lauro. Durante la prima guerra di camorra a Scampia, Ciruzzo ‘o milionario inciampò nel menu che una fedelissima “vivandiera” gli proponeva, senza mai fargli mancare pesce freschissimo, e in particolare salmone e pezzogna, dei quali era ghiotto. I carabinieri misero sotto osservazione le pescherie di Secondigliano: e notarono che tutte le mattine la donna faceva acquisti di prelibatezze di mare. In particolare, di freschissime pezzogne. Seguendo i suoi movimenti riuscirono a individuare il rifugio del narcotrafficante, arrestandolo.

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