Napoli, nel «Paradiso» di Maradona la grande storia azzurra è un cumulo di macerie

Napoli, nel «Paradiso» di Maradona la grande storia azzurra è un cumulo di macerie
di Paolo Barbuto
Mercoledì 2 Dicembre 2020, 09:13 - Ultimo agg. 13:56
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C'eravamo già stati al Centro Paradiso, avevamo già raccontato il degrado e la desolazione, eppure tornarci adesso che Diego non c'è più, fa esplodere sensazioni diverse, perché alla rabbia si mescola pure la malinconia. Ecco, di fronte alle macerie della casa del grande Napoli, con il cuore gonfio del lutto per Maradona, hai la definitiva certezza che quell'epoca è finita. Per sempre. Ci siamo tornati con frequenza, negli anni, al Paradiso di Soccavo. All'inizio abbiano raccontato l'abbandono, in seguito abbiamo lanciato l'allarme per i predoni che lo spogliavano, poi è venuto il momento dei primi crolli. Oggi non abbiamo parole per spiegare, perché il Paradiso non esiste più: muri sfondati, scale crollate, segni d'incendio. Non c'è nemmeno più un angolino da salvare, non c'è nulla che somigli a un centro sportivo, alla vera casa del Napoli degli scudetti, della squadra di Diego Armando Maradona.

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LA RAMPA
Bisogna scansare resti di lavori edili accatastati da qualche delinquente (soprattutto serrande e mobilia) e poi avanzare a tentoni fra la vegetazione che dai resti del campo di gioco s'è allungata sull'asfalto della rampa d'accesso. Il pericolo è nascosto a ogni passo perché tutti i tombini sono stati rubati nel corso degli anni, e sotto i rami potrebbe esserci il vuoto. Chi ha memoria di un altro Napoli, ricorderà perfettamente quella rampa sulla quale i calciatori si fermavano per salutare i tifosi assiepati al cancello, sostavano per le interviste che non erano burocratizzate come quelle d'oggigiorno. Sulla sinistra c'erano gli spogliatoi, le sale massaggi l'area per l'idromassaggio. Oggi sulla sinistra ci sono muri sfondati, e null'altro.

Nel tempo i predoni del ferro hanno portato via ogni cosa, dagli infissi ai cavi elettrici: hanno sfondato le pareti per strappare le tubature, hanno divelto i soffitti per afferrare le centraline elettriche. Resiste solo lo scheletro della vasca dell'idromassaggio, quella in cui soprattutto Diego andava a tuffarsi per cancellare la fatica. Guardarla mezza distrutta e ricordare i quotidiani dell'epoca che segnalavano ieri per la squadra bagni e massaggi fa venire i magone.

IL CAMPO
Tutt'intorno al rettangolo verde c'era un'inferriata che oggi non c'è più. A dire la verità non esiste più nemmeno il prato verde, sostituito da una giungla di rovi alta due metri. Eppure, al centro della vegetazione, fa ancora capolino una barriera mobile, quegli omini di ferro alti come calciatori veri che venivano piazzati davanti alla porta per studiare l'angolazione migliore per le punizioni. Anche qui il flash back è immediato: Diego che si posiziona sempre più vicino alla barriera di ferro e riesce sempre, senza possibilità d'errore, a superarla e a spedire la palla dentro la rete. Gli spalti si intravedono fra i rami che li hanno avvolti. Anche alle spalle dei seggiolini, che una volta alla settimana erano aperti anche ai tifosi, c'era una massiccia inferriata che oggi non c'è più, i pali sono stati segati uno a uno, restano pericolosi spezzoni arrugginiti.

LE PALAZZINE
In cima alla rampa veniva prima la struttura degli uffici, poi la foresteria con le stanze dei giocatori, seguita dalla zona delle cucine. Gli uffici avevano una bella porta a vetri con la «N» azzurra incisa sopra: quel vetro è a pezzi, anche il simbolo di quel Napoli è in frantumi sul pavimento. In fondo al corridoio l'ufficio del presidente. Lì dentro Corrado Ferlaino osservava maniacalmente i filmati dei calciatori d'ogni parte del mondo, aveva anche un'antesignana parabola per guardare in diretta il calcio dell'altra parte del mondo. Oggi il grande spazio del presidente è uno stanzone nel quale, chissà quando, tutti i mobili sono stati ammucchiati al centro e dati alle fiamme. Non esistono più finestre né infissi, un alberello è cresciuto nel punto esatto dov'era la scrivania di Corrado Ferlaino.Di fronte c'è la foresteria.  Puzza di urina e segni di bruciatura per i falò che, un tempo, i disperati hanno acceso qui dentro. La sala del biliardo conserva il giaciglio di qualcuno: scatolette, abiti sporchi e un angolo fetido che veniva usato come toilette. Salire ai piani delle stanze è arduo: niente balaustra alle scale, rubata come quelle dei balconi che ora sono pericolosi afffacci nel vuoto. Le stanze sono rifugi per uccelli e topi, quella di Diego, in fondo al corridoio, ha la porta sfondata nessun infisso ed è completamente aggredita da rovi con spine grandi così: vietato entrare, vietato ricordare. Il Paradiso non esiste più.

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