Movida a Napoli, la denuncia del re della notte: «Ho riaperto il mio locale ma qui è peggio di prima»

Movida a Napoli, la denuncia del re della notte: «Ho riaperto il mio locale ma qui è peggio di prima»
di Maria Chiara Aulisio
Lunedì 7 Settembre 2020, 10:00 - Ultimo agg. 12:23
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Camorra, spaccio, concorrenza sleale, vendita (e svendita) di alcool soprattutto ai ragazzini. Sono alcune delle ragioni che lo scorso gennaio convinsero Fabrizio Caliendo, primo presidente dell'Associazione notti napoletane, titolare del Kestè, antico bistrot di largo San Giovanni Maggiore Pignatelli, a chiudere i battenti. Sopraffatto dall'illegalità - e testimone di giustizia avendo denunciato i nomi di alcuni suoi estorsori - Caliendo, di avere a che fare con quel mondo della notte, non voleva più saperne. «Le condizioni ambientali si sono fatte così insostenibili che ho deciso di farmi un regalo e chiudere una volta per tutte» - dichiarò ufficialmente il giorno in cui decise che avrebbe abbassato la saracinesca del suo locale - «qui lo stress psicofisico non è più sostenibile. Il centro storico vive in uno stato di anarchia totale in cui vige solo una legge, quella del più prepotente». Uno stop lungo circa otto mesi, vissuti tra riflessioni e considerazioni, dal punto di vista professionale e personale, poi la decisione di riaprire e provarci di nuovo.
 


Che cosa le ha fatto cambiare idea, Caliendo?
«Varie ragioni».

Quali?
«Il lavoro innanzitutto. Quando ho chiuso il Kestè avevo in mente una serie di progetti che il Covid, purtroppo, ha stroncato. È chiaro che non potevo rimanere disoccupato a lungo: riaprire il bistrot, al momento, era l'unica opportunità concreta».

Una questione economica, insomma.
«Non solo. Quando ho detto basta sapevo che stavo gettando la spugna. Mi ero arreso dinanzi a una situazione insopportabile, e ingestibile, dal punto di vista della legalità e della mia voglia di lavorare in maniera seria e civile: ho pensato che valeva la pena tentare di nuovo. È successo, ma vi assicuro che non mi è mai piaciuto arrendermi davanti alle difficoltà».

La riapertura del Kestè solo qualche giorno fa. Che situazione ha trovato? È cambiato qualcosa a largo San Giovanni Maggiore?
«Sono cambiate molte cose ma in peggio».

Peggio di prima?
«Certo perché adesso c'è anche il Covid e, insieme a tutto il resto, si aggiunge pure il rischio contagio».

Niente mascherine?
«Mascherine? Figuriamoci, qui non esistono proprio, come non esiste il rispetto del distanziamento nei locali, sia dentro che fuori: ognuno fa esattamente quello che gli pare e piace. Sabato sera era il delirio, ragazzi uno addosso all'altro, risse, bar stracolmi, bottiglie che passavano di bocca in bocca, ragazzini ubriachi e spaccio libero».

Ottimo inizio.
«Il Decumano del Mare - la strada che corre parallela agli altri tre decumani della città: Anticaglia, Tribunali e San Biagio dei Librai - è diventato il luna park dell'alcol e della droga. Quello che succede la sera in questa zona non si può immaginare».

Lo dica lei.
«Si beve senza regole, ci si droga come se niente fosse e il caos è totale. Il fronte è doppio: da un lato ci sono i gestori dei locali che, in molti casi, non in tutti per fortuna, lavorano in maniera fuorilegge; dall'altro gli avventori che si comportano come se non fossero in un luogo pubblico».

E i controlli?
«I vigili urbani rispondono che non hanno i mezzi per coprire tutta la città. Sono pochi e non riescono a controllare l'intero centro storico, ma io mi sono fatto un'altra idea».

Quale?
«È assodato che questa ormai è una zona franca, completamente abbandonata. Sto cominciando a pensare che non sia un caso, evidentemente è necessario tenerla in queste condizioni per mantenere gli equilibri altrove. In altre parole: lì fate quello che vi pare ma lasciate stare altre zone».

Come ha reagito il quartiere al ritorno del Kestè?
«Soddisfazione e compiacimento da parte della gente perbene - tra cui don Salvatore Giuliano, parroco della basilica di San Giovanni Maggiore che combatte con me - molto meno da chi invece mi vede come il fumo negli occhi.
Se sono tornato è per provarci di nuovo a restituire un po' di dignità a questa zona. E non tutti sono contenti».

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