Auto esplosa in tangenziale a Napoli, il marito della ricercatrice: ​«Voglio la verità sulla morte di Mavi»

Fabio Murena: «Io e mia figlia travolti dai messaggi d'affetto, inviati anche da sconosciuti»

Fabio Murena e Maria Vittoria Prati
Fabio Murena e Maria Vittoria Prati
di Melina Chiapparino
Martedì 27 Giugno 2023, 23:37 - Ultimo agg. 30 Giugno, 07:07
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Fabio Murena aveva incontrato Maria Vittoria Prati tra i banchi dell’Università, al primo anno del corso di Ingegneria Chimica. Da quel giorno, non si erano più lasciati fino alla tragedia di venerdì quando, improvvisamente, si è infranto il loro futuro insieme.

Dopo la morte della 66enne, ricercatrice del Cnr, la priorità è «sapere la verità e avere chiarezza su cosa sia accaduto esattamente» come racconta il marito, docente universitario, con parole cariche di dolore e commozione a Il Mattino. 

Fabio come ha saputo dell’incidente? 

«Mi ha contattato al telefono uno dei soccorritori di mia moglie. Era esplosa l’auto da pochi minuti e mi sono precipitato in ospedale.

Non so cosa sia successo al veicolo prototipo e, in questo momento, non mi sento di esprimere un’opinione perché non sono a conoscenza delle perizie tecniche che sono state effettuate. Ci vorrà del tempo per eseguire tutti gli accertamenti necessari. Non voglio puntare il dito contro nessuno ma voglio sapere la verità».

Lei si è fatto un’idea di cosa sia potuto succedere? 

«Non è possibile avanzare ipotesi prima della conclusione delle verifiche e delle indagini che potranno fornire risposte sugli aspetti tecnici. Di certo, Mavi come la chiamavamo in famiglia, non si sarebbe messa in una situazione di pericolo. Era una ricercatrice meticolosa, precisa e molto professionale. Dall’altra parte però, bisogna dire che tutte le azioni comportano un margine di rischio e questo vale ancora di più per le attività di sperimentazione».

La sua richiesta? 

«Chiedo quello che tutti i familiari coinvolti in questo dramma hanno il diritto di sapere. Vogliamo la verità dei fatti e tutti i chiarimenti sulla dinamica dell’incidente e le eventuali, responsabilità di chi è coinvolto. Non è il momento di accusare o puntare il dito ma semplicemente di chiedere che sia fatto tutto il possibile per scoprire perché quell’auto è esplosa. Questo sia per il rispetto di chi ha sacrificato la sua vita, sia per noi famiglie colpite da un dolore immenso».

A parte gli accertamenti tecnici, cosa pensa dell’incidente? 

«È una tragedia enorme. Oltre al mio dolore e a quello della nostra famiglia, il mio pensiero è rivolto anche a Fulvio e ai suoi parenti con la speranza che, almeno lui, possa riuscire a riprendersi e a superare questa terribile vicenda. Ci tengo a esprimere la mia vicinanza ai familiari del 25enne che stanno vivendo, come noi, questi giorni drammatici di dolore e attese. Spero che la situazione meno critica di Fulvio possa far si che presto ci diano buone notizie sulle sue condizioni». 

Lei ha ricevuto molti messaggi rivolti a Maria Vittoria, di che si tratta? 

«Sono stato letteralmente travolto da mail, messaggi sul cellulare, lettere e ogni forma di manifestazione di affetto e vicinanza con cui le persone hanno dedicato dei pensieri a mia moglie. Mi hanno contattato amici e gente che conoscevo ma anche sconosciuti, stupendomi con la loro vicinanza e attenzione in un momento così doloroso. C’è anche una grande quantità di studenti e studentesse universitarie che nutrivano grande ammirazione per lei, sia dal punto di vista professionale che umano perché Mavi era una donna di scienza ma anche di grande umanità».

Era una ricercatrice brillante e una mamma, come conciliava questi aspetti? 

«Abbiamo una figlia che oggi ha 31 anni. Maria Vittoria era una ricercatrice di alto livello professionale, preparata, appassionata, instancabile e, allo stesso tempo, con un animo generoso e umile. Era una donna e mamma affettuosa e dolce. Era una gran lavoratrice, sempre proiettata con entusiasmo nelle sue ricerche. La sua serietà professionale non limitava la sua femminilità. Non è un caso che, soprattutto, le studentesse avessero una forte ammirazione per lei che rappresentava un esempio di come conciliare il rigore del ricercatore con la dolcezza che solo le donne possiedono».

Un suo pensiero per Mavi. 

«Un pensiero continua a riproporsi nella mia testa da quando ho saputo che Mavi non ce l’ha fatta. Il pensiero di quanto lei abbia fatto, sia a livello personale sia nell’ambito della ricerca in questi 66 anni di vita e, contemporaneamente, il pensiero drammatico di cosa è stato perso e avrebbe potuto fare negli anni che aveva davanti. Non mi riferisco solo all’ambito familiare ma anche a tutto ciò che lei avrebbe potuto fare e, sicuramente, avrebbe fatto per la società. Tra un anno e mezzo, sarebbe andata in pensione e sono convinto che questo non avrebbe fermato la sua capacità di fare perché era veramente instancabile».
 

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