Giuseppe Lo Russo voleva fuggire all'estero: pronti soldi, cellulari e staffetta di auto

Scarcerato dopo 25 anni, rischiava una nuova condanna all'ergastolo

Un blitz della polizia
Un blitz della polizia
Leandro Del Gaudiodi Leandro Del Gaudio
Mercoledì 4 Ottobre 2023, 23:30 - Ultimo agg. 6 Ottobre, 07:25
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Una staffetta di vetture noleggiate con conducente a bordo. Ma anche telefonini cellulari dedicati (intestati a prestanome) e un pacco di soldi di cui disporre a stretto giro. Parlavano di questo la sorella e la compagna del boss dei capitoni Giuseppe Lo Russo, pochi giorni prima che venisse scarcerato. Parole captate dalla Dda di Napoli, che hanno spinto gli inquirenti a far scattare un fermo da notificare al capoclan appena uscito dal carcere.

Una corsa contro il tempo, che si è conclusa due giorni fa, all’esterno del penitenziario bunker di Novara, dove Giuseppe Lo Russo ha trascorso una buona parte della sua detenzione (è stato in cella per 25 anni filati). In sintesi, la Procura di Napoli batte sull’urgenza del pericolo di fuga, proprio facendo riferimento a quelle conversazioni tra due donne, entrambe legate per motivi sentimentali e familiari al presunto capoclan.

Inchiesta condotta dai pm Celeste Carrano e Maria Sepe, c’è la convinzione che il boss volesse lasciare l’Italia, alla luce di quella sorta di rete allestita attorno ai suoi movimenti: erano state previste alcune auto Ncc (noleggio con conducente), per realizzare una sorta di staffetta, anche grazie all’uso di cellulari dedicati. Poi c’è il riferimento esplicito ai soldi, che una delle donne rivolge a un suo interlocutore, all’insegna del «portare i soldi», in vista dell’evento della scarcerazione.

Difeso dai penalisti Antonio Abet e Domenico Dello Iacono, ora Giuseppe Lo Russo potrà replicare alle accuse nel corso dell’udienza di convalida del fermo, che si terrà questa mattina in quel di Novara. Al centro del confronto, c’è una circostanza che non può essere ignorata, almeno secondo la ricostruzione degli inquirenti: il prossimo 18 ottobre, Giuseppe Lo Russo è atteso in aula, dinanzi al gup, assieme ad alcuni presunti responsabili degli omicidi della cosiddetta faida del principino, il figlio di una delle sorelle Licciardi, avvenuto a Secondigliano alla fine degli anni Novanta. Scrivono ora gli inquirenti: «Di fronte al rischio di incassare una condanna all’ergastolo, Giuseppe Lo Russo meditava la fuga lontano da Napoli». Dunque, il rischio di ergastolo, le prove di fuga, il blitz della squadra mobile del primo dirigente Alfredo Fabbrocini

Ma al di là dell’urgenza dettata dalle intercettazioni sulla presunta volontà di allontanarsi dall’Italia e di rendersi irreperibile, quali sono le accuse che vengono mosse nei confronti di Giuseppe Lo Russo? Sono due gli omicidi che gli vengono contestati. Risalgono a un periodo lontano, ma sono stati ricostruiti grazie a una serie di testimonianze rese dai collaboratori di giustizia. Parliamo degli omicidi di Angelo De Caro, consumato a Miano il sei giugno del 1990; e di Pasquale Bevilacqua, consumato il sei febbraio del 1991. Il primo delitto sarebbe stato consumato - spiegano i pentiti - da parte di Ettore Sabatino (killer pentito), su mandato di Giuseppe Lo Russo, a sua volta compulsato dal boss Gennaro Licciardi. Chiaro il movente: bisognava colpire gli ultimi cutoliani, strappando definitivamente il controllo di rione Berlingieri, destinato a diventare avamposto dell’Alleanza di Secondigliano. Retroscena pulp: il delitto avviene nella stanza da letto, dove la vittima stava dormendo. Viene ucciso davanti al figlio di soli due anni, che piange di fronte all’esecuzione del delitto. Dice un collaboratore di giustizia: «Ho avuto la cura di fare il giro del letto, per evitare di fare vittime innocenti. Gli ho sparato al fianco». 

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Diverso il movente del secondo omicidio, quello di Bevilacqua. La vittima era stata sposata per 14 anni con una sorella dei Lo Russo, salvo interrompere la relazione. Poi si sarebbe alleato con i Licciardi, che - per una questione di ragion di Stato - avrebbero consegnato il nuovo affiliato sul piatto della tregua agli amici-rivali dei Lo Russo. Storie di camorra vecchie di trenta e passa anni, che ora si attualizzano all’indomani della cattura di Giuseppe Lo Russo. Appuntamento in aula per la faida del principino, quando i vertici del sistema criminale napoletano saranno chiamati a giudizio (anche se formalmente a piede libero) per rispondere di quei dieci morti ammazzati provocati da una banale lite all’esterno di una discoteca. Veleni di un passato che oggi fa i conti con le presunte prove di fuga di un boss tornato libero - per qualche minuto - dopo un quarto di secolo in regime di carcere duro. 

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