Camorra a Napoli: «Salviamo il piccolo Mario, al figlio del pusher ucciso va assicurato un futuro»

Camorra a Napoli: «Salviamo il piccolo Mario, al figlio del pusher ucciso va assicurato un futuro»
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 14 Ottobre 2021, 23:27 - Ultimo agg. 16 Ottobre, 08:06
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Un lavoro alla giovane vedova del pusher ucciso sabato notte a Secondigliano. E una vita per quel piccolo rimasto orfano ad appena un anno. Una vita in famiglia, nel suo quartiere, assieme alla mamma e ai suoi cari, ma fatta di scuola, sport e quanto di ordinario possa scandire le fasi della crescita. Parte da qui una sorta di mobilitazione per il piccolo “Mario”, nome rigorosamente di fantasia, che da sabato notte non ha più un padre. Gliel’hanno ucciso i killer di Secondigliano, nel corso dell’ennesimo regolamento di conti che insanguina la periferia a nord di Napoli. Aveva 19 anni Luigi Giuseppe Fiorillo, il babypusher ammazzato in via Cupa dell’Arco, centrato da una decina di proiettili esplosi a distanza ravvicinata. Una esecuzione a sangue freddo, nella città delle bombe, mentre un pezzo di Napoli - a partire dalle istituzioni che si occupano di emergenza minorile - fa i conti con l’esigenza di impedire un percorso scontato: con il dovere di salvare quel bambino da una traiettoria già vista. In campo la rete di assistenti sociali, ma anche Procura e Tribunale dei minori analizzeranno il caso.

Che fare? Bisogna mettere in campo una rete di assistenti, in grado di accudire il piccolo - ovviamente facendo in modo che resti tra le braccia della madre - per una crescita quanto più possibile al riparo da droga, guadagni illeciti e crimine organizzato.

Spiega al Mattino Mario Covelli, presidente della camera penale minorile: «Va potenziato il settore della prevenzione minorile, lavorare con uno sguardo rivolto al presente ma anche al futuro.

Bisogna mettere in campo tutti i dispositivi possibili per tutelare la famiglia e fare in modo che quel bambino possa crescere in piena integrazione con il contesto civile, all’insegna della formazione scolastica, di attività sportive e ludiche». Un sogno? Un miraggio? Fatto sta che il piccolo “Mario” diventa il simbolo dell’esigenza di fare qualcosa, proprio nelle stesse ore in cui la chiesa si mobilita e il vescovo di Napoli lancia il monito contro silenzi e indifferenza, contro killer e quanti si voltano a guardare altrove. Fatto sta che sul piccolo orfano, c’è l’attenzione degli uffici dei Colli Aminei, come accaduto alcuni mesi fa per i figli di Ciro Caiafa, fratelli minori di Luigi, il rapinatore 17enne ucciso in via Duomo da un agente di polizia. Anche in questa occasione, sono entrati in gioco i servizi sociali, per una verifica sulle condizioni di vita dei piccoli e sulla formazione che viene loro assicurata.

Ma c’è chi chiede ora che queste storie divengano simbolo del riscatto dell’intera collettività, all’insegna della capacità dello Stato di intervenire in concreto a tutela delle giovani generazioni. Tra questi spicca l’intervento di don Luigi Merola, parroco di Forcella, patron della fondazione “A voce de creature”, che si occupa proprio di emergenza minori: «La vicenda di Mario non può rimanere in sospeso. Siamo tutti coinvolti per creare un progetto di crescita in grado di impedire che il destino di quel bambino risulti segnato. In che modo? Deve rimanere tra le braccia delle madre, lo dico a scanso di equivoci, deve crescere nel proprio ambiente familiare. Ma ha anche diritto a una condizione di vita normale. Credo che lo Stato debba fare di tutto per garantire alla mamma di quel bambino un posto di lavoro, per tagliare i ponti con una cultura di morte che si abbatte in certi contesti. Anche in questo caso mi metto in gioco in prima persona: seguiamo circa duecento minori, per noi la storia di quel bambino può diventare paradigmatica per non lasciare che le cose vadano in un binario morto, predefinito». 

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Una vicenda amara, su cui ora si attendono comunque gli esiti delle indagini condotte dalla Dda di Napoli. Inchiesta affidata al sostituto procuratore Lucio Giugliano, si scava negli ambienti della droga. Fatto sta che l’omicidio di sabato notte viene ricondotto a un regolamento di conti interno al gruppo che controlla le piazze di spaccio a Secondigliano. Atteggiamenti sempre sopra le righe, una barba folta e nera che incorniciava un volto da ragazzino, il 19enne è stato ucciso all’esterno di un circolo ricreativo. Precedenti per droga, resistenza a pubblico ufficiale, una vita per molti versi segnata. Esattamente come quella del figlio, che ora in tanti - dalle associazioni alla camera penale, per passare gli uffici del Tribunale dei minori - provano a tutelare da un epilogo scontato». 

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