Camorra a Napoli, le accuse dei pm: «Statue sacre e riti religiosi usati per rafforzare il clan»

Camorra a Napoli, le accuse dei pm: «Statue sacre e riti religiosi usati per rafforzare il clan»
di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 10 Novembre 2021, 23:03 - Ultimo agg. 12 Novembre, 07:33
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Non bastano agguati e violenza, minacce e aggressioni, per controllare pezzi di area metropolitana. Non bastano i gesti di sempre per mantenere il proprio radicamento su intere fette di città e provincia, «ma occorrono anche i simboli». Quali? «I simboli religiosi». Ne sono convinti i pm della Dda di Napoli, nel corso di un recente atto di accusa vibrato dinanzi al Tribunale, nel pieno di un processo che chiama in causa i vertici della cosiddetta Alleanza di Secondigliano. Stando alla ricostruzione della Dda di Napoli, infatti, la camorra fa leva anche su riti e simboli religiosi per affermare il proprio carisma. Religione come strumento di controllo e di affermazione della propria egemonia sociale, come per altro attestato da una circostanza raccontata qualche mese fa dal Mattino: il ritrovamento di tre statue raffiguranti la Madonna, in piazza Ottocalli, che erano intestate ad alcuni boss del Vasto, da trent’anni padroni dello scenario criminale a Napoli, forti del legame con altre dynasty mafiose.

Ricordate l’episodio? Lo scorso aprile, all’interno di un salone in piazza Ottocalli, riconducibile alla congrega della Madonna dell’arco, spuntarono tre statue della Madonna che risalivano addirittura al seicento. Erano state trafugate da una chiesa nei pressi di Materdei, per finire all’associazione che ogni anno celebra il culto mariano con lunghe processioni dai comuni vesuviani al centro storico. Due di queste recavano targhette intitolate a Patrizio Bosti e Francesco Mallardo, boss fondatori di quella che viene definita Alleanza di Secondigliano. Ed è stato il pool antimafia a ribadire un concetto: «Questa circostanza conferma l’uso di riti e simboli religiosi per affermare il controllo sul territorio e la propria egemonia sociale». Le statue erano riconducibili ad Anna Maglieri, madre delle sorelle Aieta, a loro volta mogli di Edoardo Contini, Bosti e Mallardo.

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Gup Ciollaro, sotto processo un pezzo di storia criminale cittadina. Tra gli imputati spunta il ruolo di Rita Aieta, moglie di Patrizio Bosti, madre di Ettore Bosti, ritenuti elementi di spicco della cupola mafiosa partenopea. Una figura femminile su cui si è concentrata l’attenzione del pool antimafia, anche alla luce del recente verdetto di condanna pronunciato in primo grado: condannata come presunta reggente del clan, la donna è al carcere duro. Vive sotto regime detentivo di 41 bis, come poche altre donne in Italia, proprio per il suo presunto ruolo in seno al clan di Vasto e Arenaccia, ma più in generale dell’Alleanza di Secondigliano. Un ruolo attivo, sembra di capire, proprio nella trasmissione di ordini. Un controllo esercitato anche attraverso riti e simboli religiosi: quelle tre statue erano finite in un’associazione della Madonna dell’Arco - spiegano gli inquirenti nel corso dell’udienza - erano riconducibili alla suocera dei tre boss egemoni a Napoli, erano diventate uno strumento di controllo del territorio, «un modo per affermare la propria egemonia sociale su un intero spaccato metropolitano». E non ci sono solo le statue trafugate in una chiesa anni fa - sembra di capire -, dal momento che è probabile che ci siano verifiche anche su altri aspetti della vita religiosa cittadina (tra riti e simboli) piegati dalla camorra come strumento di controllo e di affermazione della propria logica di dominio. Difesi - tra gli altri - dai penalisti Nunzio Limite, Mauro Valentino, Gianpaolo Schettino - gli imputati rispondono delle accuse comprese nella misura cautelare firmata dal gip Iaselli nel 2019. 

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Un’inchiesta a carico di 180 persone, culminata in processi e condanne per vertici e gregari. Associazione camorristica, racket e usura in un quartiere dove sarebbero avvenute massicce operazioni di riciclaggio di soldi sporchi: estorsioni e usura per strozzare attivitàcommerciali che poi si trasformano nel corso degli anni in lavatrici del denaro sporco.

Un quartiere dove si sono registrati addirittura episodi di suicidio da parte di imprenditori strozzati da una camorra egemone da almeno un trentennio. Una camorra - per dirla con i pm della Dda di Napoli - che non esita a usare simboli religiosi: e a imporre il proprio dominio anche controllando il culto mariano e la rappresentazione offerta da tre statue della Madonna rubate da una chiesa del Seicento e intitolate ai boss del calibro di Bosti e Contini. 

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