Permessi premio e processo fermo, così è riesplosa la faida di Napoli Est

Permessi premio e processo fermo, così è riesplosa la faida di Napoli Est
di Leandro Del Gaudio
Lunedì 22 Marzo 2021, 23:52 - Ultimo agg. 23 Marzo, 07:33
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Strana storia a Ponticelli: alcuni soggetti coinvolti nella nuova faida di quartiere (tra bombe, attentati e omicidi) sono anche in attesa di essere giudicati, in un processo rimasto immobile da un anno e mezzo.
E che non è stato ancora fissato, arenato nelle secche della corte di appello di Napoli. Strana storia nel cuore di Napoli est, c’è chi si indigna - politici e intellettuali - per la mancanza dello Stato e chiede interventi concreti. Eppure, il caso Ponticelli è per molti versi figlio di quanto sta accadendo ai piani alti del Palazzo di giustizia di Napoli: una sorta di braccio di ferro tra Procura e giudici - chiariamo bene: assolutamente legittimo e in linea con le regole della giurisdizione -, sulla necessità di condannare e arrestare soggetti ritenuti legati ai clan emergenti del quartiere della periferia orientale. 
È il processo a carico di alcuni componenti della famiglia Casella (eredi del clan D’Amico), attualmente avversati dai De Martino (che hanno preso il posto dei giovanissimi Di Micco, meglio noti come i bodo). 


Scenario esplosivo, c’è un caso di giustizia lenta e a maglie larghe: da almeno un anno e mezzo - ottobre 2019 -, la Procura di Napoli attende che venga fissata la data dell’udienza del processo d’appello a carico di quattordici indagati ritenuti legati alla camorra emergente nel quartiere di Napoli est. E non è tutto. A leggere le carte più recenti della Dda di Napoli, spiccano un paio di particolari inediti: alcuni imputati del processo immobile sono anche indicati come protagonisti (tra vittime e aggressori) della nuova faida; e ancora: nel corso dei mesi estivi, uno dei presunti boss emergenti, parliamo di Francesco De Martino, avrebbe ottenuto permessi premio, scarcerazioni spot, anche solo per poche ore. Strana storia a Ponticelli: un processo al palo da 18 mesi, in attesa di essere fissato; e una giustizia che avrebbe consentito nei mesi scorsi a qualcuno di ricompattare le fila di un clan conosciuto come XX (radicato nel cosiddetto rione Fiat), attivo negli ultimi tempi. Su un doppio versante: sul territorio, con la decisione della scorsa estate di non versare le quote al cartello egemone dei De Luca Bossa-Minichini-Aprea; ma anche sui social, con una serie di post a mezzo facebook che raccontano la frontiera della nuova camorra. Ed è così che sotto i riflettori, finisce Antonio De Martino, figlio del presunto emergente-scissionista (quello dei permessi premio), in un’inchiesta che fa i conti con la storia di un processo travagliato, con una ricostruzione della geografia criminale letteralmente da brividi: in meno di un chilometro, sono sei i punti in cui agiscono famiglie o gruppi criminali differenti. 
Fatto sta che alla fine, lo scenario è più semplice di quello che sembra: ci sono i De Luca Bossa-Minichini-Casella, a loro volta tornati in buoni rapporti con gli Aprea e i Rinaldi, dunque in buoni rapporti con l’Alleanza di Secondigliano, da anni però in guerra (fredda o calda, a seconda dei periodi) con l’esercito dei Mazzarella. 

 


Ma torniamo al proesso fermo da un anno e mezzo. Ottobre 2019 aula 410, grande festa, con l’assoluzione firmata dal gup al termine del rito abbreviato. Quattordici assoluzioni. Ineccepibile il ragionamento, che accoglie le istanze difensive (tra gli altri, i penalisti Domenico Ciruzzi, Leopoldo Perone, Antonio Rizzo, Luca Mottola), a proposito degli elementi di forza dell’inchiesta: intercettazioni inutilizzabili, erano le conversazioni in casa Casella e nell’automobile di tale Enrico Borrelli, prive del decreto autorizzativo che estendeva tout court il via libera all’ascolto a tutte le ambientali portate nel processo. Un tema decisivo, forse insormontabile da un punto di vista formale, che garantisce il ritorno a casa - tra gli altri - dei tre fratelli Eduardo, Vincenzo e Giuseppe Casella; Giuseppe Righetto, Annamaria Milzi, Antonio Austero, Luigi Aulisio, Ida Austero, Giuseppe Milzi. Tutti innocenti fino a prova contraria, anche se la Dda nei loro confronti non è stata a guardare. 
Ha fatto appello. Già, l’appello. Tutto inutile, almeno per ora: 18 mesi dopo a Ponticelli si spara e si ammazza, mentre si fa fatica a portare le carte da una stanza all’altra del Tribunale di Napoli. 
 

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