Pesce del Golfo e soldi sporchi
cucina vip sotto la Madunina

Pesce del Golfo e soldi sporchi cucina vip sotto la Madunina
di Giuseppe Crimaldi
Martedì 4 Aprile 2017, 08:55 - Ultimo agg. 09:07
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«Solo chi è nato e cresciuto nel golfo di Napoli può capire al meglio i valori della nostra cucina. Per questo Teniamo tantissimo alle tradizioni: ed è per questo che il nostro personale è assolutamente partenopeo». La pubblicità ammiccante, i locali accoglienti ed elegantemente rifiniti con le due ampie sale interne «riscaldate dal tepore del forno a legna, arredate in tipico stile napoletano», avevano fatto di «Donna Sophia 1931» una delle location gastronomiche più titolate di Milano. Milano. Pesce fresco e soldi sporchi. Già, perché anche il ristorante a due passi dal piazza Duomo è finito nella rete del Tribunale per le misure di prevenzione di Napoli nell'ambito dell'inchiesta sulla famiglia Potenza. Al blitz eseguito ieri dalla Dia di Napoli si è giunti dopo alcune sentenze di condanna definitive, che hanno corroborato il portato dell'accusa. Vedi alla voce: riciclaggio. Nel «lavare» e ripulire i proventi di attività illecite un ruolo privilegiato e determinante lo svolsero proprio i Potenza. Il capostipite Mario, oggi defunto, e poi i suoi tre figli: Bruno, Salvatore e Assunta, considerati i titolari del «tesoro» finito nel mirino degli inquirenti. Un fiume di soldi che scorreva lungo l'asse Napoli-Milano.
 


Dalle indagini è emerso che i Potenza «hanno impiegato in attività economiche ed immobiliari il denaro proveniente dalle loro intraprese attività illecite, proseguite anche dopo il decesso del capostipite Mario, alias o chiacchierone: le verifiche societarie e finanziarie hanno infatti disvelato un ingente patrimonio accumulato nel corso degli anni - frutto delle attività illegali che hanno portato alla condanna dei fratelli Bruno, Salvatore ed Assunta - che è stato reinvestito in numerosi immobili e locali commerciali ma anche in parte collocato su rapporti finanziari riconducibili agli stessi ed accesi presso istituti bancari elvetici». La Svizzera. Ci sono voluti mesi, ma alla fine gli uomini coordinati dal capocentro Dia Giuseppe Linares hanno portato a casa il risultato sperato. Da Napoli gli indagati eseguivano - con complicità di professionisti la cui identità è in via di accertamento - una gran mole di operazioni finanziarie con la Svizzera. Bonifici, versamenti, triangolazioni e intermediazioni creditizie sono finite sotto la lente d'ingrandimento degli investigatori, trasformandosi in oggetto di una rogatoria internazionale che ha consentito il sequestro delle ingenti somme di denaro messe al sicuro in territorio elvetico. La Dia è riuscita a individuare il terminale del flusso di soldi che da Napoli arrivavano in Svizzera: presso l'istituto di credito BSI Bank di Lugano.

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