Camorra, sigilli al tesoro dei fratelli Potenza: maxisequestro da 20 milioni di euro

Camorra, sigilli al tesoro dei fratelli Potenza: maxisequestro da 20 milioni di euro
Lunedì 3 Aprile 2017, 08:11 - Ultimo agg. 6 Marzo, 08:38
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Al termine di una complessa e articolata attività di indagine, tesa all’aggressione dei patrimoni di mafia, personale del Centro Operativo della Dia di Napoli ha dato esecuzione alla misura di prevenzione patrimoniale del sequestro di beni mobili, immobili e disponibilità finanziarie emessa, ai sensi della normativa antimafia, dal Tribunale di Napoli - Sezione Misure di Prevenzione nei confronti dei fratelli Potenza (Bruno, Salvatore e Assunta), famiglia di imprenditori della zona di Santa Lucia storicamente dedita al contrabbando di sigarette fino agli anni ’90, poi stabilmente dedita all’usura, investendo i proventi così accumulati negli anni in rinomati esercizi pubblici.

I predetti provvedimenti ablativi costituiscono lo sviluppo di una precedente articolata indagine condotta dalla Dia. nel giugno 2011, che vide l’esecuzione di numerose ordinanze di custodia cautelare nei confronti, tra gli altri, dei fratelli Potenza nonché del capostipite Mario, già destinatario di un provvedimento ablatorio emesso dal Tribunale di Napoli, sempre nel giugno 2011, che vide il sequestro di beni per un valore di 10 milioni di euro, di cui ben otto milioni in banconote ritrovate nel corso di una perquisizione nella sua abitazione, nascoste fra le intercapedini delle mura domestiche. Tale somma di denaro, di valore molto rilevante, non aveva trovato giustificazione alcuna nei redditi lecitamente percepiti dall’interessato e consistenti in una pensione sociale Inps ed in un’altra da invalidità civile. 

Con le nuove indagini patrimoniali, si è acclarato che una parte consistente delle principali attività di ristorazione del lungomare di via Caracciolo e del quartiere di Chiaia costituivano il frutto del reimpiego di capitali illeciti, in parte anche riferibili a Salvatore Lo Russo, al vertice dell’omonimo sodalizio camorristico di Miano ed oggi collaboratore di giustizia, nonché della stessa famiglia Potenza, in particolare a Mario Potenza (o’ chiacchierone) e Bruno Potenza, i quali, esponenti storici fino a tutti gli anni ’90 del contrabbando di sigarette, si sono poi dedicati stabilmente all’usura nel cui ambito reinvestivano gli stessi proventi così accumulati nel corso degli anni.

La ricostruzione offerta da vari collaboratori di giustizia trovava pieno riscontro nelle attività tecniche di intercettazione, nonché dalle investigazioni all’epoca effettuate.

 


Con l’accoglimento delle proposte di sequestro presentate dal direttore della Dia si chiude il cerchio investigativo nei confronti della famiglia Potenza; si acclarava l’esistenza di una diffusa economia criminale mascherata, le cui finalità erano volte al riciclaggio del denaro, proveniente dalle attività illecite e dal flusso dello stesso da “pulire”.

In questa attività di riciclaggio, un ruolo cardine era svolto dalla famiglia Potenza, i cui componenti risultano, attualmente, intestatari sia di quote societarie relative ad attività in campo immobiliare che in quello della ristorazione nella città di Napoli ma anche in quella di Milano.

Le attività investigative, confortate anche dalle sentenze di condanna penale definitive, hanno fatto emerge che i Potenza hanno impiegato in attività economiche ed immobiliari il denaro proveniente dalle loro intraprese attività illecite, proseguite anche dopo il decesso del capostipite Mario Potenza: le indagini societarie e finanziarie hanno, infatti, disvelato un ingente patrimonio accumulato nel corso degli anni - frutto delle attività illecite che hanno portato alla condanna dei fratelli Bruno, Salvatore e Assunta - che è stato reinvestito in numerosi immobili e locali commerciali ma, anche, in parte “collocato” su rapporti finanziari riconducibili agli stessi ed accesi presso istituti bancari elvetici. Tali ultime operazioni finanziarie con la Svizzera sono state oggetto di penetranti investigazioni nonché di una rogatoria internazionale che ha consentito il sequestro delle ingenti somme di denaro “messe al sicuro” in territorio elvetico; per questo motivo le operazioni sono state estese presso l’istituto di credito BSI Bank di Lugano.

Sempre con riferimento al trasferimento di risorse finanziarie in territorio estero ed al successivo rientro di parte di tali capitali dopo l’adesione alla procedura di “voluntary disclosure” - si è avuto modo di accertare ulteriormente la consistente sproporzione fra la capacità reddituale dei proposti e le effettive disponibilità patrimoniali e finanziarie a questi riconducibili, nonché di verificare il flusso finanziario con cui veniva acquistata un un’attività di ristorazione sita nel pieno centro di Milano, non distante dal Duomo, con l’accoglimento della proposta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale avanzata dal direttore della Dia da parte della Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Napoli.

Le ulteriori investigazioni effettuate da personale del Centro Operativo della Direzione Investigativa Antimafia di Napoli consentivano di svelare l’esistenza di un ulteriore ingente patrimonio immobiliare.

Infatti, con i decreti di sequestro emessi dal Tribunale di Napoli - Sezione per l’applicazione delle misure di prevenzione, che ha colpito i proposti, venivano sottoposti a sequestro interi patrimoni aziendali di società sia napoletane che milanesi, nonché numerosi immobili di pregio, rapporti finanziari, appezzamenti di terreno e diversi autoveicoli. Il sequestro ha interessato numerose unità immobiliari, sei società e tre partecipazioni societarie (tra le quali il ristorante «Donna Sophia dal 1931» nel centro di Milano e la sala ricevimenti già nota come «Villa delle Ninfe» a Pozzuoli), autoveicoli, 66 depositi bancari nazionali ed esteri (per i quali è stata formulata richiesta di assistenza alla Procura federale elvetica) e cinque
 polizze.

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