Ha 47 anni, sei figli e un nipotino che non aveva mai visto fino all’altro giorno, perché è nato durante il suo ricovero in ospedale. L’ultimo ricovero dopo tanti altri, ma più difficile: iniziato con poche speranze, durato 130 giorni e coinciso con il lockdown. Ma non è Vincenzo Ruocco, il protagonista di questa storia, a raccontare il dolore della lontananza dalla numerosa famiglia e la gioia degli abbracci ritrovati (con tutte le precauzioni anti-Covid). A scrivere una lettera commovente sono i suoi tesori più grandi, Maria Grazia e Teresa, di 20 e 21 anni, che si rivolgono al manager dell’azienda dei Colli, Maurizio di Mauro, e a tutto il personale sanitario. «Questa lettera, oltre a essere mossa dalla riconoscenza, vuole essere un modo per far conoscere una storia di amore e di speranza per chi, come noi, è in attesa di un trapianto salvavita. Che sia un accorato appello alla donazione d’organo», affermano.
Vincenzo Ruocco, originario di Villaricca e titolare di un deposito di materiali edili, è stato ricoverato il 5 settembre 2020 al Monaldi, nel reparto diretto da Andrea Petraio. Il motivo è ben spiegato dalle sue ragazze: «Papà è affetto da grave dilatazione cardiaca. E questi ultimi mesi per tutti noi sono stati lunghissimi e difficili, anche a causa delle restrizioni dovute alla pandemia». Ammessa in corsia solo la moglie Rosa Cimmino, che non ha lasciato un attimo il suo uomo. Un provvedimento anti-contagi consiste, infatti, nella sospensione delle visite in corsia anche per gli altri parenti stretti. «Siamo stati costretti a restare lontani, mentre la nostra preoccupazione cresceva perché le condizioni di papà peggioravano giorno dopo giorno, in attesa del trapianto». Un intervento, quest’ultimo, non ancora effettuato perché dipende dalle donazioni, dalla compatibilità e da tanti altri fattori: non resta aspettare che tutto coincida.
«Papà è stato operato d’urgenza per ricevere un cuore artificiale, l’alternativa al momento salvavita, ed è rimasto in coma farmacologico per molte settimane», proseguono le figlie. «L’unica cosa che ci teneva in contatto erano i colloqui telefonici con il team del reparto, a ogni ora del giorno e della notte pronto a dare risposta alle nostre continue richieste di informazioni. Ogni piccolo miglioramento era un successo condiviso: da casa ci sentivamo rincuorati non solo dalla consapevolezza che nostro padre fosse ricoverato in un centro di eccellenza, ma che avesse intorno a sé tanto calore». Anche queste attenzioni sono state «un’efficace cura».
Poco più di un mese fa, il 9 dicembre, Vincenzo è diventato nonno: «La gioia per noi più grande è quella che, una volta tornato a casa, può conoscere il suo primo e desideratissimo nipote».