Napoli, processo al custode di Città della Scienza: «Finti controlli e intercettazioni choc»

Napoli, processo al custode di Città della Scienza: «Finti controlli e intercettazioni choc»
di Leandro Del Gaudio
Mercoledì 8 Giugno 2022, 00:00 - Ultimo agg. 20:01
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L’ultimo giro, l’antifurto disinnescato, quelle intercettazioni. Sono i punti su cui fa leva il processo a carico del vigilante di Città della scienza, il guardiano finito sotto processo: incendio doloso, in concorso con ignoti. Per gli inquirenti, non ci sono stati mai dubbi: è lui, parliamo di Paolo Cammarota, ad essere indicato come responsabile di una trama nera non ancora chiarita del tutto. Tra pochi giorni, Cammarota è atteso di nuovo in aula, per una sorta di processo di appello bis: come è noto, infatti, è stata la Cassazione a rimandare gli atti a Napoli, decidendo di riaprire un caso, dopo la condanna a sei anni che Cammarota aveva rimediato a Napoli. 

Aula 316, si torna in Appello, a partire da alcuni punti fermi su cui ha battuto la Procura generale di Napoli, che è tornata a chiedere la condanna a carico dell’agente di polizia privata.

Difeso dai penalisti Luca Capasso e Antonio Tomeo, il vigilante ha sempre negato ogni forma di responsabilità nell’incendio. Una vicenda controversa: condannato in primo grado a sei anni, assolto in appello, la Cassazione decide di rimandare gli atti a Napoli, per una nuova verifica su alcuni punti che restano altamente indiziari. Quali? Proviamo a ripercorrere le tappe di una indagine condotta dai pm Michele Del Prete (oggi sostituto procuratore antimafia) e Ida Teresi, che hanno fatto leva su intercettazioni e testimonianze incrociate. Si parte dal movente economico: la Cattedrale del mare venne distrutta - è questo l’assunto dei pm - per sbloccare soldi della assicurazione, che avrebbero consentito di ripianare debiti con i fornitori esterni, con i dipendenti (che erano da mesi senza stipendi), rimettendo così in moto la macchina delle iniziative speciali per il rilancio del museo. Un movente economico, con tante forme di partecipazione. Dal basso verso l’alto, almeno per ripercorrere quella sorta di pista interna su cui la Procura ha battuto per anni. Assistiti dal penalista napoletano Giuseppe De Angelis, i vertici di Città della scienza sono costituiti parte civile e attendono giustizia. 

Ma torniamo agli atti di indagine: si parte dal verbale di un custode, un collega di Cammarota. È stato lui a contraddire, in un drammatico confronto, la versione dell’imputato. Marzo del 2013: Cammarota chiede e ottiene di fare l’ultima perlustrazione e si adopera per disinnescare l’allarme antincendio. Probabile che a partire da questo momento, abbiano fatto il loro ingresso, all’interno del recinto di Città della scienza, gli uomini attrezzati per distruggere il museo. Come nella storia del cavallo di Troia, come per la distruzione dell’antica civiltà dell’Asia minore, si sarebbe mossa un’ombra all’interno della cittadella. Almeno cinque (per qualcun altro otto) gli inneschi che hanno distrutto la struttura. Erano stati “trattati” in precedenza, in modo da rendere spedita la diffusione delle fiamme. Nessuna segnalazione ai centralini delle forze dell’ordine, come se quel rogo a Coroglio fosse una sorta di allucinazione collettiva. Mezz'ora dopo l’assalto dei piromani, arriva la prima segnalazione al centralino dei vigili del fuoco. 

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Ormai il museo è quasi del tutto distrutto. A lanciare l’allarme è stato un pescatore che abitava a pochi passi da Città della scienza, uno che stava tornando a casa sul proprio gozzo, intorno alle dieci di notte. Era il tre marzo del 2013, un lunedì di sapore primaverile, giorno nero per i napoletani. Poche ore prima dell’incendio, intorno alle dieci del mattino, era crollato Palazzo Guevara di Bovino, lungo via Riviera di Chiaia, quanto basta a rendere la macchina dei soccorsi decisamente appesantita. Ma su cos’altro fa leva il processo all’ex custode? Ci sono intercettazioni realizzate nei giorni successivi, in cui l’ex vigilante fa riferimento all’incendio, mentre parla con una donna di sua conoscenza: «Non è stato fatto niente...», dice alludendo a trame su cui ora il giudice dovrà fare chiarezza. 

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