Sacchetti «bio», a Napoli
​è braccio di ferro: «Un'ingiustizia»

Sacchetti «bio», a Napoli è braccio di ferro: «Un'ingiustizia»
di Cristina Cennamo
Giovedì 4 Gennaio 2018, 11:09 - Ultimo agg. 12:13
4 Minuti di Lettura

«In questo reparto è previsto l'obbligo di pagamento dei sacchetti di plastica a contatto diretto con l'ambiente». Recita così il cartello esposto nel reparto dedicato all'acquisto di frutta e verdura sfusa della Carrefour, la catena di grande distribuzione che naturalmente si è già adeguata alla legge entrata in vigore il primo gennaio, ma approvata lo scorso agosto, in virtù della quale i clienti dovranno pagare i sacchetti di plastica leggeri ed ultraleggeri nei supermercati: quelli, per intenderci, comunemente utilizzati per imbustare frutta, verdura, carne e salumi e che sono anche tra i principali responsabili dell'inquinamento dei mari. Oltre a pagare, come già accadeva, le buste della spesa il consumatore dovrà pagare quindi anche quelle utilizzate per pesare la merce sfusa, con un aggravio in scontrino che varia da un negozio all'altro. Basta fare infatti pochi metri ed ecco che già alla Conad, altra catena di grande distribuzione, lo stesso sacchetto costa due centesimi, quindi uno in meno rispetto al precedente. Roba di poco, obietterà qualcuno, ma in tempo di crisi e per chi ha famiglie numerose o semplicemente compra molta frutta e verdura fresca a fine anno anche la differenza di costo della busta può risultare una seccatura.

Nei fatti, spiegano le associazioni dei consumatori, il costo medio dovrebbe aggirarsi tra 1 e 5 centesimi a busta, e a ben vedere anche i tradizionali sacchetti leggeri prima passati per «gratuiti» secondo alcuni erano in realtà pagati dai clienti sotto forma di costi di gestione. Di contro, spiegano alcuni dipendenti di un supermercato del centro, il singolo sacchetto costerebbe al supermercato quattro centesimi e quindi in un certo senso è come se azienda e consumatore stessero «facendo a metà» senza poi considerare, aggiungono, che questi sacchetti così come già quelli biodegradabili venduti alle casse dei supermercati potranno essere usati poi per contenere i rifiuti organici. Sia come sia, ieri nel primo giorno di spesa post rientro nessuno ha reclamato per il rincaro ed in verità pochi ne erano a conoscenza o se ne erano resi conto. Molti, ad esempio, l'hanno capito leggendo i cartelli esposti nei reparti o addirittura una volta arrivati alle casse quando gli addetti come da indicazione hanno iniziato a passare sul lettore scanner un codice a barre, tante volte quanti erano i sacchetti.

Forse anche perché, a dirla tutta, non si tratta ancora di un importo che spaventi davvero, come dimostra l'indagine effettuata dall'Osservatorio di Assobioplastiche secondo cui il consumo di sacchi per ortofrutta e per il cosiddetto secondo imballo (quello dei prodotti che prima vengono incartati, come carne, pesce, gastronomia, panetteria) si aggira tra i 9 e i 10 miliardi di unità, per un consumo medio di ogni cittadino di 150 sacchi all'anno. Ipotizzando che il consumo rimanga su queste cifre, al momento la spesa massima annuale sarebbe attestata quindi a 4,5 euro all'anno per consumatore, mentre quella per famiglia può toccare i 12,51 euro.

 


«È chiaro - spiega il presidente della Federconsumatori Campania Rosario Stornaiuolo - che questa imposizione rappresenta nei fatti un passo avanti in una logica di civiltà, perché tutto ciò che si fa in favore dell'ambiente è sempre giusto e sacrosanto. Quello che però non mi è altrettanto chiaro è perché mai il consumatore debba portare a casa una busta che reca sempre il logo del supermercato e rappresenta quindi a suo modo un veicolo pubblicitario e, per di più, debba anche pagare per farlo. A questo punto, se non è possibile trovare degli sponsor per questi sacchetti, troverei sensato ed anzi anche brillante che i supermercati si accollassero loro il costo, fosse solo in una logica di marketing sociale. Avrebbe certamente molto più senso di tante trovate poco credibili, tipo la nascita di un bambino al supermercato, o di tanti altri costi di promozione che già si accollano quotidianamente e la loro immagine ne uscirebbe senz'altro rafforzata. Se così non fosse, ad ogni modo, mi sento di dire a tutti i consumatori che è una battaglia per il bene comune che costa poco, ma che aiuta molto l'ambiente». E del resto i negozianti che non osserveranno le regole rischieranno multe salate, fino a 100mila euro: una misura che dovrebbe arginare ancora di più la proliferazione delle buste in polietilene che inquinano l'ambiente resistendo per centinaia di anni.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA