Stipendi gonfiati all'Asl Napoli 1, la chat: «Siamo stati scoperti, ma i soldi li ho già mangiati»

Stipendi gonfiati all'Asl Napoli 1, la chat: «Siamo stati scoperti, ma i soldi li ho già mangiati»
di Leandro Del Gaudio
Martedì 25 Gennaio 2022, 23:57 - Ultimo agg. 27 Gennaio, 08:57
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Chat dettate dalla paura di chi si sente scoperto, dal rischio di finire nel tritacarne. Conversazioni ricavate dall’analisi dei telefonini sequestrati, su cui poi si sono aggiunge le verifiche dei vertici dell’Asl. Una inchiesta, quella della presunta cricca delle buste paga gonfiate, che prende le mosse da una «delazione», a leggere la ricostruzione del gip, che mette in moto accertamenti su un doppio binario: quello disciplinare e quello strettamente penale. È l’otto marzo del 2021, quando viene fuori il bubbone delle anomalie contabili.

Leggiamo il testo anonimo: «Caro Direttore, mi rivolgo a lei per comunicare che sono stato preso in inganno da un dipendente A.C.

che mi riferiva una soluzione economica molto vantaggiosa, in cambio di una percentuale, ho percepito per qualche mese uno stipendio elevato da competenze non spettanti. Ho intenzione di restituire fino all’ultima cifra percepita, anche se non avrò indietro i soldi dati al dipendente preposto all’ufficio competente. Mi rivolgo a lei perché questo non avvenga più. Il bidonato». 

Check interni, pesa come un macigno la testimonianza del manager Asl Ciro Verdoliva, che mette insieme - alla luce degli accertamenti svolti - una serie di nodi sottoposti all’autorità giudiziaria, a proposito dell’operato di Emma Guerrera: «Liquidava gli arretrati degli assegni familiari senza aspettare, come prevede la procedura, l’adozione della determina di liquidazione; liquidava più volte allo stesso dipendente gli stessi importi per gli stessi periodi di riferimento, con inserimenti che venivano fatti a distanza di pochi mesi; non poneva in essere alcun controllo sulle liquidazioni già erogate in favore della stessa matricola...». Un caso che scatena il panico, all’interno di alcuni ospedali cittadini. 

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Proviamo a capire cosa accade, alla luce delle conversazioni finite agli atti, alla luce della ricostruzione del pm Di Mauro: «Mena (Mandolfi), mi deve dare seimila euro», denunciando in tal modo la consapevolezza della illecità commessa, rendicontando in modo certosino e genuino la modalità di percezione del denaro e gli importi per ottenere il maltolto. È ancora uno dei beneficiari a intervenire nel corso di una chat, nella quale viene tirata esplicitamente in ballo la presunta organizzatrice del raggiro: «Mena venne sopra l’ospedale e voleva mille euro... Mena mi deve dare seimila euro»; risponde in chat un altro interlocutore: «...1400 euro li hanno avuti, ora 7-8000 euro li hanno avuti... sopno 2300-2400...». Poi c’è chi confessa di aver già speso i soldi percepiti indebitamente, tanto da non avere la possibilità di mettere una toppa al buco provocato. Ma c’è una «palese ammissione di responsabilità», stando alle intercettazioni che vedono coinvolto Ciro Alfano, uno degli indagati di questa storiaccia di presunte truffi, falsi e raggiri. Spiega «Infamità per infamità, ma quando poi mi tirano dentro, sapete io che faccio? Mi diranno, Ciro Alfano tu di che cosa ti occupi? Io rispondo che faccio il pass all’ospedale del Mare, mica faccio assegni familiari? Quindi nel computer non ci sono (nel senso che non si occupa di contabilità e di informatica), poi se la signora mi accusa, io rispondo di portarla al manicomio...». Conversazioni di questo tenore, su cui ora i diretti interessati potranno replicare e fornire le proprie versioni dei fatti. Il resto lo fanno i riscontri su statini, conti correnti e proiezioni, a partire da un dato in particolare: lo spulcio degli assegni familiari, delle persone a carico, che da un anno all’altro per qualcuno è stato stranamente gonfiato. 

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