Superbonus edilizi a Napoli, le mani dei clan sul credito d'imposta: così riciclano i soldi sporchi

Superbonus edilizi a Napoli, le mani dei clan sul credito d'imposta: così riciclano i soldi sporchi
di Leandro Del Gaudio
Domenica 14 Novembre 2021, 22:59 - Ultimo agg. 15 Novembre, 18:52
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Hanno modi affabili e vanno dritto al sodo: qua stanno i soldi, basta firmare la voltura. Quale? Quella che consegna da una mano all’altra il diritto a vantare nei confronti dello Stato il credito di imposta maturato da una piccola o grande azienda. Accade a Napoli, la città dove tecnicamente è esploso il bonus sulla ristrutturazione di immobili e capannoni aziendali, nei primi mesi della ripartenza post Covid. Un fenomeno criminale a tutti gli effetti, quello delle mani sulla compravendita del credito di imposta, che viene segnalato in questi giorni da osservatori di categoria, associazioni antiracket, organismi rappresentativi. Un fenomeno che rischia di proporsi - in modo neanche tanto celato - con pressioni estorsive o, in modo molto più sostanzioso, un evidente canale di riciclaggio del denaro sporco. 

Ma proviamo a capire cosa sta accadendo all’ombra del bazooka economico (era questa la metafora per la ripartenza post sanitaria) messo in funzione da queste parti nel secondo semestre del 2021. Sono tantissime le aziende che hanno fatto richiesta di accesso ai fondi sbloccati dal cosiddetto ecobonus 110, una misura che punta a rivitalizzare l’economia e a porre le premesse dell’auspicata transizione ecologica: supermercati, complessi immobiliari, capannoni industriali hanno chiesto e ottenuto finanziamenti in grado di coprire l’importo dei lavori.

Soldi che arrivano alle aziende e ai capi cantiere dopo qualche mese dalla richiesta, dopo aver certificato gli step delle attività messe in campo. Ed è proprio in queste fasi che si inseriscono soggetti quanto meno sospetti, che danno vita a operazioni tutt’altro che trasparenti. Sono i vertici dell’associazione antiracket a denunciare il fenomeno, alla luce delle segnalazioni che stanno arrivando da diversi iscritti. Esposti e denunce che hanno tutti lo stesso refrain: arrivano dal nord richieste di acquisto del credito di imposta, propongono soluzioni fin troppo vantaggiose per essere reali. In azione società o agenzie di intermediazione finanziaria, che sembrano perfettamente a conoscenza degli investimenti messi in campo dall’imprenditore di turno e delle sue aspettative di copertura finanziaria grazie al bonus. Fanno un’offerta difficile da rifiutare: mettono sul tavolo soldi cash in cambio delle carte del credito di imposta. Una cessione a tutti gli effetti che consente di monetizzare da un lato e di ripulire dall’altro. Un affare per chi attende i finanziamenti, ma anche per chi - da tutt’altro punto di vista - ha interesse a lavare soldi di provenienza poco chiara. Una mediazione legale, che potrebbe nascondere operazioni finalizzate a strategie votate al riciclaggio.

Spiega Luigi Cuomo, presidente dell’associazione anti racket sul territorio: «Si tratta di operazioni apparentemente legali, dal momento che il credito di imposta si può vendere alle banche, alle poste o a un privato. Solo che in questo caso a farsi avanti sono privati in grado di saldare ben più della cifra messa a disposizione di una banca (che arriva fino al 90 per cento dell’importo), chiudendo per altro i conti a stretto giro». Più soldi e a morte di subito, da parte di chi ha solo interesse a entrare in un circuito virtuoso, per uscire da uno scenario poco chiaro. Sta accadendo a supermercati che hanno riorganizzato la propria struttura o semplicemente ad aziende edili che sono impegnate nel restyling di facciate di condomini e che attendono il bonus governativo dopo aver messo in campo le proprie risorse (in termini di manodopera e di liquidi), che trovano quasi inevitabile accettare offerte tanto convenienti. Non a tutti va per il verso giusto. C’è chi ci si è trovato spalle al muro, come spiegano i rappresentanti di categoria: «C’è chi ci ha rimesso, trovandosi di fronte a soggetti senza scrupoli. Si presentano con una veste professionale, come commercialisti o manager, alla fine si scopre che hanno alle spalle clan della camorra metropolitana. L’unica soluzione - spiega - e lo dico continuamente ai miei iscritti, è di denunciare tutto, al primo campanello di allarme. Fare i nomi, indicare numeri di telefono e riferimenti». 

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Ma al di là dell’allarme delle associazioni di categoria, al di là della preoccupazione del gruppo che unisce il fronte antiracket, qual è lo scenario investigativo attuale? Negli ultimi dieci giorni sono arrivate agli inquirenti tre denunce (due che riguardano aziende di provincia e una del centro cittadino), che confermano questo tipo di fenomeno, legato al tentativo di mettere le mani sul credito di imposta dei soggetti beneficiari. Una frontiera criminale recente, decisamente figlia dei tempi, che si sta sviluppando nei mesi della ripresa, che viaggia in parallelo con metodi per così dire tradizionali. Sempre e soltanto all’ombra del racket alle aziende che hanno ottenuto il bonus, in questo caso evitando mediazioni e strategie di profilo alto. Parliamo del racket porta a porta, di quelli che vanno a bussare alle porte del cantiere e chiedono il pizzo. Ne abbiamo parlato in un servizio del Mattino pubblicato appena un mese fa, raccontando le denunce sottoscritte da alcuni capi cantiere. Metodi seriali, come immortalato da alcune telecamere messe a protezione dei cantieri: «Domani i soldi o è meglio che a lavorare non “scendete” proprio», è il ragionamento. In questo caso camorristi e estorsori non hanno i modi affabili di quelli che si presentano in nome di società di mediazione, ma hanno le idee chiare e vanno comunque al sodo.

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