Terremoto a Napoli, intervista a Mario Tozzi: «Non c'è stata prevenzione, ora si dia ascolto agli scienziati»

«L'evoluzione dei fenomeni vulcanici è imprevedibile, vale per i Campi Flegrei come per il Vesuvio»

I danni dell'ultima scossa di terremoto a Napoli
I danni dell'ultima scossa di terremoto a Napoli
di Marilicia Salvia
Mercoledì 4 Ottobre 2023, 11:00 - Ultimo agg. 20:45
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«Non siamo pronti». Più che un grido d'allarme, quello di Mario Tozzi, geologo e divulgatore scientifico tra i più seguiti e apprezzati (anche) dal popolo della tv, suona come un rimprovero. «Non lo scopriamo oggi che i Campi flegrei sono un'area ad altissimo rischio vulcanico. Uno dei posti più pericolosi al mondo, non per niente tenuto sotto strettissima sorveglianza scientifica. E cosa è stato fatto per mitigare il rischio, per scongiurare possibili tragedie? Nulla». 

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Cosa andava fatto, invece?
«Lavorare seriamente sulla prevenzione. Ma non negli ultimi tempi: negli anni, con metodo, con cura. Scoraggiando, per cominciare, nuovi flussi abitativi.

Mi dicono che a Pozzuoli da anni non si costruiscono nuove case. Ma tutta l'area è fin troppo densamente popolata. Con l'eccezione di Solfatara e Astroni, la gente vive, lavora e dorme su 27 delle 29 bocche vulcaniche attive: non esattamente una cosa saggia».

La lezione degli anni 80 non è bastata?
«Direi di no. E d'altra parte, perché un piccolo proprietario avrebbe dovuto preoccuparsi quando nella stessa area erano state realizzate, nel tempo, maxistrutture come l'Accademia aeronautica, la sede Nato, l'Ippodromo di Agnano?».

Insomma la sottovalutazione è stata trasversale, collettiva?
«Diciamo che è prevalso e continua a prevalere un certo fatalismo».

E adesso è tardi per un cambiamento di rotta?
«Adesso si tratta di inculcare nelle persone automatismi che avrebbero dovuto imparare nel tempo. Il rischio che il panico, in caso di effettiva emergenza, impedisca ai cittadini di muoversi con lucidità - per cui invece di seguire le regole diffuse dalle istituzioni si fa di testa propria, peggiorando le cose - è sempre altissimo: figurarsi se di queste regole si ha solo un vago ricordo, una vaga idea».

Non basterà l'esercitazione annunciata dal presidente De Luca?
«Non è bastata neanche quella che si è svolta nel 2019, che coinvolse più persone di quelle annunciate adesso, ma comunque poche. C'ero anch'io, all'epoca, ne parlammo in un mio programma: le esercitazioni, in un'area come quella, sono utili se si svolgono regolarmente nel tempo, se coinvolgono tutta la popolazione, se sono accompagnate da incontri periodici fra i cittadini e gli esperti. Bisogna che i piani di evacuazione vengano sperimentati, per poterli eventualmente sottoporre a modifiche, ad aggiustamenti».

Qualche esempio di cosa fare e cosa no?
«Un piano di evacuazione di solito prevede dei punti di raccolta, presso i quali recarsi a piedi e con non più di una valigia con l'essenziale: ai trasferimenti nelle località gemellate pensano le istituzioni, la Protezione civile. Di certo non sarebbe possibile spostarsi con l'auto privata, stipata fino all'inverosimile di roba da portare con sé: gli ingorghi sarebbero terrificanti».

Anche perché le vie di fuga, per ammissione generale, non sono sufficienti.
«Altro punto dolente che conferma la sottovalutazione del rischio».

Ma c'è davvero da aspettarsi il peggio? Un'eruzione, esplosioni o cosa?
«Gli scienziati, tutti di altissimo profilo, che tengono d'occhio l'area giustamente restano prudenti. Le eruzioni non sono prevedibili. Ma nel passato ce ne sono state, com'è ampiamente noto. E una, quindicimila anni fa, quella che generò il tufo di Napoli, fu devastante: la più forte mai registrata nel Mediterraneo».

Dovesse ripetersi, farebbe strame di qualsiasi piano di evacuazione.
«Ci sarebbero guai seri in tutto il Paese».

Un'ipotesi meno catastrofica?
«Al momento sappiamo che il tasso di sollevamento del terreno è più veloce, ma non ha raggiunto il livello dei primi anni 80. Bisogna capire se i fluidi si muovono sulla testa del magma, o se è il magma stesso a muoversi: in questo caso l'eruzione è più probabile».

C'è un modo per capirlo?
«Gli scienziati controllano il rigonfiamento e il tasso di rigonfiamento del suolo, le variazioni di temperatura e composizione delle fumarole».

Questi indizi danno abbastanza tempo per scappare? Il piano di Protezione civile indica 72 ore di tempo.
«Tre giorni per evacuare 500mila persone? Tutto sta, appunto, a prepararle bene».

Non trova che sarebbe affascinante assistere all'emersione di un vulcano, come il Monte Nuovo nel 1538?
«Non è detto che prima o poi non possa accadere. L'evoluzione dei fenomeni vulcanici è imprevedibile, vale per i Campi Flegrei come per il Vesuvio, altra zona fin troppo abitata e poco allenata a piano di emergenza».

A proposito di affollamento, i Campi Flegrei negli ultimi anni hanno puntato molte carte sulla promozione turistica. Lidi, ristoranti, locali della movida tra Bacoli e Bagnoli sono sempre affollatissimi. A Pozzuoli il Rione Terra, in gran parte riqualificato, sarebbe destinato a ospitare alberghi con centinaia di camere e location per eventi. È compatibile un progetto simile con le strategie necessarie di mitigazione del rischio?
«La promozione turistica è ormai imprescindibile in luoghi di grande fascino storico e naturalistico, per far girare l'economia. Ed è anche sacrosanto che i turisti abbiano la possibilità di goderne. La soluzione sta nell'istituzione di Parchi: aree protette e vincolate, con meno residenti possibile e visitatori che si trattengono non più di qualche ora».

Scelta impopolare, che presuppone un certo coraggio. Le sembrano coraggiosi gli amministratori che in queste ore si preoccupano più di tranquillizzare i cittadini che di metterli sull'avviso?
«Il mio consiglio, ai cittadini e ai loro amministratori, è di ascoltare i tecnici. L'Istituto nazionale di geologia e vulcanologia, l'Osservatorio Vesuviano, che è il più antico al mondo, sono retti da scienziati validissimi e rigorosi: fidiamoci di loro, seguiamo le loro indicazioni con serietà, senza dividerci. In questo momento l'ultima cosa che serve è la polemica». 

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