Tribunale di Napoli, udienza rinviata a Natale: il flop della fase 2

Tribunale di Napoli, udienza rinviata a Natale: il flop della fase 2
di Leandro Del Gaudio
Martedì 26 Maggio 2020, 10:00
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Dire smart working per chi non ha accesso al fascicolo è come dire vacanze a casa a spese dello Stato. È la battuta che va di moda tra le (poche) anime che solcano il Tribunale, nei giorni della fase due. Giustizia ai tempi del Covid, dunque: avvocati in mascherina che portano le sentenze di primo grado ai sostituti procuratori generali per indicare loro il caso da trattare di qui a qualche giorno, sentendosi ripetere sempre la stessa risposta: «Sì, ho capiti qual è il processo, ma non me lo hanno messo a statino, mi informerò...». Tradotto dallo slang ordinario, significa che non c'è traccia del processo approdato in appello, con le cancellerie ridotte finora a mezzo servizio e con una girandola di rinvii difficili da tracciare.

E si torna alla storia dello smart working, che riguarda un esercito di amministrativi e di impiegati nelle rispettive cancellerie. Sulla carta, per tre mesi sono stati a casa almeno per metà settimana. Si sono connessi, collegati con i rispettivi uffici, hanno svolto mansioni di vario tipo e urgenza, ma nessuno ha avuto modo di accedere al fascicolo. Hanno lavorato da remoto a pieno regime solo gli impiegati nelle «spese di giustizia», mentre quelli che avrebbero dovuto rispondere alle istanze delle parti, non lo hanno potuto fare. Quanto basta a spingere i vertici del Consiglio dell'Ordine e degli uffici di corte di appello a imprimere un'accelerata. Ieri pomeriggio, nuovo incontro informale tra il presidente degli avvocati Antonio Tafuri e il presidente del Tribunale Elisabetta Garzo, in vista di una nuova accelerata: bisogna riportare in ufficio gli impiegati della giustizia, si rischia il tracollo. Uno sforzo organizzativo per riempire le cancellerie, per ribaltare l'alternanza casa-ufficio, per rimettere in movimento la mole di processi finora rinviati (e rimasti in un limbo di difficile definizione). Ma torniamo al Tribunale semivuoto. Torre A, dal settimo all'undicesimo piano, sezione Lavoro. Lunedì mattina, tutto fermo o quasi. Ma si lavora da remoto - confermano i vertici del Palazzo - e si fa leva soprattutto sulla trattazione scritta, che consiste nella trasmissione delle conclusioni delle parti via posta elettronica certificata, in attesa della decisione del giudice. E non mancano critiche da parte di un assortito gruppo di giuslavoristi, per la questione dei cosiddetti «Fornero». Parliamo dei licenziamenti bollati con il nome dell'ex ministro del Lavoro, che richiedono una trattativa d'urgenza, a partire dal tentativo di conciliazione tra le parti dinanzi a un giudice. Una presenza fisica in aula, un faccia a faccia di fronte all'autorità giudiziaria che non può essere surrogata con l'approccio da remoto. Per due mesi - parliamo di marzo e aprile - di fronte al lockdown, anche buona parte delle pratiche di urgenza sono state rinviate, di fronte all'esigenza di evitare assembramenti in prossimità di ascensori o nelle sezioni del Palazzo. Eppure - sostengono gli avvocati delle parti - c'erano gli spazi per gestire le udienze più delicate e urgenti.
 

 

Ma è un intero mondo che attende una svolta che non è ancora arrivata, almeno a voler considerare i primi quindici giorni della cosiddetta fase due. Spiega Marcello D'Aponte, docente di Diritto del Lavoro e avvocato di riconosciuta esperienza: «Ci auguriamo che ci sia un calendario di udienze più serrato rispetto a quello che abbiamo registrato in questo periodo. Non si può procedere con due udienze a settimana, è ora di intensificare per non mortificare le richieste di giustizia di tanti cittadini in un settore delicato come le controversie sul lavoro».

Chiara la richiesta rivolta ai capi degli uffici: bisogna accelerare, imprimere una svolta, riportare in aula i processi e gli impiegati nelle cancellerie. Bisogna rivedere i calendari, superare un approccio eccessivamente burocratico. Pochi giorni fa, sempre per rimanere al civile, un giudice ha rinviato un'udienza a settembre, forte di un protocollo adottato all'interno della propria sezione lo scorso aprile, vale a dire nel pieno della cosiddetta fase uno. Eppure bisognava solo costituire le parti, incamerare le prime note e fissare una nuova data, di fronte alla richiesta di giustizia di un intero nucleo familiare. Un caso di presunta malasanità in un ospedale dell'area metropolitana, per il quale si chiede giustizia dopo la morte del proprio congiunto, che ha provocato una risposta da parte del giudice tutta da decifrare: «Non è giusto sottrarre i medici dall'emergenza sanitaria del covid - si legge nel provvedimento - non possiamo chiedere un loro intervento come periti di parte». Diverso il parere degli avvocati Fabio Foglia Manzillo e Stefania Salzano, che hanno invece chiesto la trattazione dell'udienza a giugno, di fronte ai nuovi numeri del contagio in Campania, ma soprattutto di fronte a un dato di fatto: «Per la prima udienza - si legge nella loro istanza - non è prevista alcuna convocazione di medici, ma la semplice costituzione delle parti, che rappresenta comunque una risposta per chi ha subìto un lutto e ha deciso di rivolgersi a un giudice».
Ce n'è abbastanza per spingere sull'acceleratore.
Questa mattina ripartono gli uffici del giudice di pace penale e civile, mentre si lavora per rimettere in moto la macchina della giustizia anche ad Ischia. Anche qui c'è una sola domanda a tenere banco: a che serve il telelavoro, se nessuno può accedere ai fascicoli? 

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