Vincenza Donzelli morta dopo il parto a Napoli, il compagno Andrea Cannavale: «Nove mesi senza un problema, voglio la verità per nostro figlio»

Vincenza Donzelli morta dopo il parto a Napoli, il compagno Andrea Cannavale: «Nove mesi senza un problema, voglio la verità per nostro figlio»
di Maria Chiara Aulisio
Giovedì 18 Agosto 2022, 22:56 - Ultimo agg. 19 Agosto, 16:19
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Come sta il piccolo?
«Bene. Per fortuna lui sta bene. È in ospedale, dopo gli ultimi accertamenti potrà tornare a casa. Lo stiamo aspettando».

Perché è ancora ricoverato?
«Mi spiegavano che in seguito a un parto difficile il protocollo sanitario impone che il neonato venga tenuto in osservazione per un po’».

Andrea Cannavale racconta la tragedia che ha vissuto e parla e ricorda Vincenza, la sua “bella e dolce” compagna, “quella giusta che aspettavo da una vita”, morta solo qualche ora dopo aver messo al mondo Vincenzo, il nome del nonno, per tutti Enzo, indimenticato attore napoletano.

Una storia drammatica che ha commosso e addolorato l’intera città.
«In poche ore sono stato travolto da una valanga di amore inarrestabile. Neanche quando è morto mio padre le testimonianze di affetto, e di accorata partecipazione, sono state tali e tante».

La notizia della morte di Vincenza ha fatto il giro in pochissime ore.
«Un tam tam impressionante. Ho ricevuto, credo, un migliaio di messaggi, oltre cinquecento non sono riuscito ancora a leggerli.

Parole di cordoglio e solidarietà da persone che neanche conosco, telefonate, visite, vecchi amici ritrovati dopo anni, baby sitter e medici pediatri che si offrono di occuparsi del piccolo. Una giovane mamma di Benevento voleva perfino regalarmi del latte. Straordinaria».

Gesti che fanno bene al cuore.
«La benzina che in questo momento mi serve per cercare di andare avanti. Appena avrò riacquistato un po’ di lucidità, insieme con la sua famiglia, voglio creare un’associazione culturale nel nome di Vincenza, devo, anzi dobbiamo, portare avanti il lavoro straordinario che aveva messo in campo per valorizzare Napoli, la sua arte, i monumenti: era innamorata di questa città e voleva farla conoscere nel mondo». 

Ci stava anche riuscendo.
«Il suo “spazio” a Palazzo Serra di Cassano era diventato un punto di riferimento per il mondo della cultura partenopeo: mostre, incontri, presentazioni di saggi, volumi. Poi il rapporto imprescindibile con i turisti che accompagnava personalmente alla scoperta delle cavità. Era l’anima della Galleria borbonica».

 

Qual è l’ultimo ricordo che ha di lei?
«Un weekend a Sperlonga qualche settimana prima del parto».

Come stava Vincenza?
«Benissimo. Felice, allegra, sorridente come al solito. Un fine settimana fantastico: mare, sole, gli amici di sempre. E poi ormai mancava davvero poco all’evento, l’idea di liberarsi di quel pancione sempre più ingombrante, e stringere finalmente il suo bambino tra le braccia, l’aveva resa raggiante. Anche io, devo ammettere, non stavo più nella pelle: volevo conoscere mio figlio».

Si può definire una gravidanza tranquilla quella portata avanti dalla sua compagna?
«Tranquilla? Perfetta direi. Nove mesi senza un solo problema. Stava talmente bene che non ha mai smesso di lavorare. È stata in Galleria fino all’ultimo. La sua vita, la nostra vita, era quella di sempre».

Poi però qualcosa è andata male. 
«C’è un’indagine in corso. Saranno gli inquirenti a stabilire che cosa è successo quella notte: lo ritengo un atto dovuto nei confronti di nostro figlio, quando un giorno mi chiederà come, e perché, è morta la madre dovrò necessariamente dargli una risposta. Per quanto riguarda me, invece, so che nulla potrà restituirmi Vincenza, tutto il resto vale poco».

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Da quanto tempo stavate insieme?
«Circa un anno. La conoscevo già da tempo ma non ci eravamo mai frequentati. Poi, una sera, l’ho rivista e alla fine non ci siamo più lasciati. Nel giro di qualche mese decidemmo anche di andare a vivere insieme».

Quando avete scoperto che Vincenza era incinta?
«La sera della vigilia».

Un bel regalo di Natale.
«Fece il test il 24 dicembre: “positivo”. Ricordo quel momento come una magia. Lei 43 anni, io 49, desiderosi di avere un bambino e consapevoli, entrambi, di essere riusciti a concepirlo con la persona giusta. Un piccolo miracolo sotto i nostri occhi». 

Nessun dubbio sul nome: Vincenzo come il nonno ovviamente.
«Ancora non conoscevamo il sesso quando, una sera, Vincenza mi accolse sulla porta di casa con un pacchettino tra le mani». 

Che cosa conteneva?
«Un campanellino legato a un fiocchetto celeste. Voleva farmi capire che stava per nascere un maschietto, io invece pensai solo a un semplice regalino. Insomma, sorpresa rovinata. Fu costretta a dirmelo che era in arrivo Vincenzo, ci rimase malissimo ma poi scoppiamo a ridere come pazzi. Il nostro era un rapporto di grande sintonia. Sintonia e complicità».

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Ha qualche rimpianto?
«No, rimpianti non ne ho. Se non quello che avrei voluto passare la vita con lei. Conservo invece la bellezza di questo anno trascorso insieme e la consapevolezza di aver contribuito a renderla felice. È stato un periodo esaltante, per me e per lei, troppo breve ma molto intenso. Entrambi avevamo voglia di mettere su famiglia ma non ci eravamo riusciti. È bastato poco, dopo il nostro incontro, per capire che quella era la volta buona». 

Una bella storia d’amore.
«Stavamo sempre insieme. E insieme, il pomeriggio del 7 agosto, siamo arrivati in clinica per il ricovero. Lei più felice che mai, io divorato dall’ansia e dall’emozione. Chi lo avrebbe mai immaginato che di lì a poco mi sarei ritrovato solo. Solo a crescere il nostro bambino. Ancora non mi sembra vero. In una manciata di ore si è infranto il sogno più bello della mia vita». 
 

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