Sono il guscio protettivo, l’estrema soluzione contro la violenza maschile. Ma, se nel sistema antiviolenza rappresentano una reale difesa preventiva, le case rifugio per le donne in pericolo diventano di fatto una fuga obbligata dalle loro case, dalla loro vita quotidiana, dalle loro abitudini. Per mettersi al sicuro, va via la vittima non il suo potenziale carnefice. Sono in tutto 431 le case rifugio con i requisiti previsti dalla legge del 2003, che accolgono le donne su segnalazione dei 373 Centri antiviolenza o delle 15 operatrici del numero verde dedicato 1522. Soluzione d’emergenza, le case rifugio sono un filtro reale, una barriera contro le violenze maschili. Le donne vi ricevono assistenza psicologica e legale, sostegno economico temporaneo, indicazioni.
Le case rifugio assicurano vitto e alloggio, a volte contributi in denaro per le prime spese delle ospiti, per la cura personale, vestiario o schede telefoniche. Le donne vittime di violenze si rivolgono in prevalenza ai familiari per chiedere consigli e aiuto, poi anche alle forze dell’ordine. Al Sud, il 16 per cento delle donne ospitate dalle case rifugio vi arriva su indicazione di parenti, amici o conoscenti. Ma, secondo gli ultimi dati Istat, una percentuale del 15 per cento di donne vittime riceve suggerimenti anche dalle forze dell’ordine e dai servizi sociali nella scelta non facile di chiedere ospitalità a una casa rifugio. Quelle attualmente in attività sono insufficienti: solo 1,85 ogni 10mila donne vittime di violenze. Strutture attive in prevalenza nelle regioni settentrionali, se sono al 40,4 per cento nel Nord-ovest, al 22,7 per cento nel Nord-est e solo il 13,5 per cento al Sud. In Sicilia e Sardegna il dato è del 12,3 per cento, mentre al Centro si raggiunge l’11,1 per cento.
Nell’ultimo anno, le case rifugio italiane hanno ospitato 2.423 donne e, dato significativo, 1515 cioè oltre la metà, sono di nazionalità straniera.
Chi decide di tornare alla propria vita quotidiana lasciando la casa rifugio lo fa nel 42,5 per cento dei casi perché ha ultimato il percorso di difesa preventiva dal pericolo di violenza. Ma il 23,2 per cento lascia solo per trasferirsi in un’altra casa rifugio, il 12,4 per cento sceglie di abbandonare a permanenza e l’assistenza ricevuta nelle strutture e l’11,6 per cento si arrende non sopportando più di restare nella precarietà e torna, a proprio rischio, a convivere con l’uomo autore della violenza subita. In Campania sono 30 le case rifugio autorizzate. In provincia di Salerno il numero maggiore (11) per 64 posti letto. Solo 6 in provincia di Napoli per 33 posti letto e sette in provincia di Caserta con 40 posti letto.
Le case rifugio vivono di fondi pubblici al 77,4 per cento. Residuali i sostegni economici di privati. I finanziamenti totali alle case rifugio italiane ammontano a 30 milioni 683313 euro, a coprire spese che, lo scorso anno, sono state di 24 milioni 694.228 euro. C’è chi ha bilanci in attivo, ma non è una regola generale. Per ogni donna ospitata, le case rifugio dichiarano una spesa media di 10mila euro. E non bastano. Al Sud, i finanziamenti sono di 3 milioni e 604.839. Ma la parte del leone la fa il Nord-ovest con 10 milioni e 291.445 euro. La ripartizione, però, dipende dal numero di case rifugio attive nelle singole regioni. Al Sud sono di meno. È il costo del personale la principale voce passiva di queste strutture, insieme con il canone d’affitto dell’immobile. Ma non tutte le donne sono accettate nelle case rifugio. In alcuni casi, sono fissate regole per accogliere le richieste: l’81,9 per cento delle case rifugio non accetta donne tossicodipendenti, con disagi psichiatrici, senza fissa dimora, o con una gravidanza agli ultimi mesi. Criteri di esclusione applicati dalla maggioranza delle strutture. Criteri da regolare meglio per non lasciare senza difese quelle donne vittime.