Siani, la prima pagina oggi con Il Mattino: la vita rubata e il coraggio di lottare per avere giustizia

L'uccisione del giornalista uno spartiacque divenuto esempio nazionale

Siani, la prima pagina oggi con Il Mattino: la vita rubata e il coraggio di lottare per avere giustizia
di Pietro Perone
Domenica 15 Gennaio 2023, 08:38 - Ultimo agg. 24 Febbraio, 11:42
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È come un pugno nello stomaco rivedere oggi la più drammatica prima pagina della lunghissima storia del Mattino. Ripubblicata perché votata dai lettori nell'ambito della rievocazione storica che abbiamo svolto in questi mesi per i 130 anni del giornale. Ma la prima pagina del 24 settembre del 1985 resta una ferita aperta, nonostante siano trascorsi circa 38 anni da quella sera, quando nulla è stato più come prima nella vita di questo giornale.

Non solo per la gravità della notizia, visto che dopo sono venute le stragi, a cominciare da quelle di mafia. Non sono purtroppo mancate le tragedie di un Paese troppo spesso inerme nel prevenire frane e alluvioni. Vennero poi l'attentato alle Torri gemelle e le guerre, a cominciare da quella che stiamo vivendo. Ma quel titolo sul delitto di Giancarlo è stato per anni il nostro incubo quotidiano, quello che solo gli arresti e le condanne passate in giudicato di assassini e killer hanno solo in parte alleviato.

Un foglio di giornale bagnato dalle lacrime, un pezzo di carta su cui tanto si è scritto e molto spesso si è speculato. Una spalla e non l'apertura, la parola camorra che compare solo nell'occhiello e non nel titolo. Cronista e non giornalista, nel tentativo - fu detto - di tutelare la testata perché Giancarlo non era stato assunto, nonostante le promesse dei mesi precedenti il delitto.

Congetture nelle ore più terribili della storia del Mattino, quando alcuni dei giovani colleghi di Giancarlo non riescono a scrivere l'articolo in cronaca sull'omicidio o le testimonianze raccolte a caldo in piazza Leonardo al Vomero.
Si rivela complicato battere sui tasti della macchina da scrivere con gli occhi rossi e gonfi per il pianto: «Datemi le notizie, scrivo io tutti gli articoli», dice il caporedattore Pietro Gargano ad alcuni giovani colleghi in quella notte delle notti, cominciata intorno alle 21 quando Eduardo de Filippis, nel compiere il consueto giro di nera, raccoglie per telefono la terribile notizia: «Pare che al Vomero abbiano ucciso uno di voi, un giornalista, il nome dovrebbe essere Siani...».

«Vogliamo la verità», il titolo del corsivo scritto dal direttore di allora, Pasquale Nonno, criticato per avere raccontato che Giancarlo gli era stato raccomandato da un gesuita amico suo.

Una formula infelice tenuto conto del momento, ma per dire che quel giovane giornalista era arrivato in redazione non su indicazione di qualche politico o potente dell'epoca, come spesso avveniva, ma per un caso fortuito. «Perché hanno ammazzato questo ragazzo che sorrideva sempre, che appena si affacciava alla professione? Ce lo chiediamo da ieri sera.

Senza rabbia, ma con tanta determinazione», scrive Nonno.



Vennero infatti i giorni della pista di Torre Annunziata, quelli dell'arresto e della scarcerazione-lampo di Alfonso Agnello, cane sciolto della camorra. L'inchiesta, spinta anche dal giornale, sembrò dovesse approdare a un colpevole a qualunque costo: il clan Giuliano, finanche una casa di appuntamenti in via Palizzi su cui Siani avrebbe deciso di indagare. E ancora Rubolino, Calcavecchia, un impazzito coctail di presunti killer e mandanti puntualmente scagionati.

Arrivarono poi gli anni del buio investigativo fino a quando il primo pentito del clan Gionta di Torre Annunziata, Salvatore Migliorino, non pronunciò la fatidica frase: «So anche di Siani...». Poco o nulla sapeva il colletto bianco della camorra, ma tanto bastò per riaprire le indagini e fare seguire a quella maledetta prima pagina del 24 settembre dell'85 altre in cui si raccontava del lavoro del pm Armando D'Alterio, del vicequestore Bruno Rinaldi e spesso si indagava parallelamente alla magistratura, sulla camorra torrese e di Marano, i loro legami con la mafia di Totò Riina.

Articoli e articoli di Siani riletti nel 1993 con altri occhi a caccia di risposte, quando più strumenti c'erano per capire che Giancarlo non era solo «un ragazzo che sorrideva sempre» ma un uomo coraggioso e un attento giornalista alla ricerca della verità, il primo ad avere capito che il clan Gionta era affiliato ai Corleonesi, il salto di qualità di una camorra raccontata da molti ancora come stracciona.

Siani precursore del giornalismo d'inchiesta ma anche fratello maggiore degli studenti che tre anni prima del suo omicidio avevano riempito le piazze della Campania e dell'intero Mezzogiorno per dire «no» alla criminalità organizzata e rivendicare un futuro diverso per le proprie terre, chiedendo alla politica una svolta mai arrivata come testimoniano gli agguati, le ruberie di oggi e il potere economico della malavita.

Una prima pagina, quella che pubblichiamo oggi, che va affiancata a quella del 25 ottobre del 1995: «Siani, il cerchio si chiude». Era la notte degli arresti di killer e mandanti rimasti per dieci anni nell'ombra. Il Mattino fermò le rotative per pubblicare in esclusiva la notizia delle notizie, inseguita con tutte le forze per onorare la verità sulla morte di un collega e sopire anche tormenti e sensi di colpa. Seguì il titolo del 15 aprile del 1997: «Caso Siani, sei ergastoli». E nel Duemila quello che riferiva delle condanne confermate in Cassazione, tranne che per il boss Gionta.

Quindici anni dal 24 settembre dell'85, un tempo infinito per ottenere la verità giudiziaria, mentre silenzi, omissioni, sottovalutazioni e inquinamenti delle prime indagini, rimasti ai margini dei processi, fanno comunque parte di una memoria collettiva che, anno dopo anno, va rinsaldata per non fare cadere nell'oblio il sacrificio di un eroe civile, il nostro Giancarlo.
 

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