Opere d’arte rubate a Napoli, patto tra pm e Mann: «Ecco 14mila reperti»

Anfore e monete trafugate e rinvenute: dalla custodia giudiziaria alle esposizioni

Opere custodite al Mann
Opere custodite al Mann
Leandro Del Gaudiodi Leandro Del Gaudio
Sabato 4 Novembre 2023, 23:49 - Ultimo agg. 6 Novembre, 06:37
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C’è la storia dell’archeologo francese che, nel lontano 1983, fu bloccato dalla dogana di Napoli mentre tentava di rientrare a Parigi: aveva una testa di Efebo in una busta tra i bagagli. Si limitò ad un’alzata di spalle - come raccontava il Mattino di quaranta anni fa -, dicendo di aver regalato 50mila lire a un contadino che custodiva l’opera in campagna, nel Vesuviano. Poi c’è la vicenda del farmacista “tossico” di architettura che, nel marzo del 2000, venne denunciato dal Nas per un’accusa più unica che rara: «Assieme a un complice cedeva Roipnol e sostanze psicotrope a quanti gli portavano opere d’arte». Inutile dire che a casa del farmacista, vennero trovati «manufatti archeologici», tra anfore e monili di età precristiana, saccheggiati dai siti archeologici del Casertano.

Storie di ritrovamenti di opere d’arte rubate, puntualmente conservate nel Mann, il Museo archeologico dal 1969 “custode giudiziario” dei proventi di saccheggi e traffici illeciti. Uno scrigno unico al mondo, composto da 14mila esemplari di arte antica, da salvare e inventariare. Tesori oggi pronti ad essere offerti allo studio e alla fruizione estetica. È questo il senso del protocollo firmato dalla Procura di Napoli (con gli aggiunti Rosa Volpe e Pierpaolo Filippelli) e dal direttore del Mann Paolo Giulierini, forti delle indagini dei carabinieri (spicca il lavoro del maresciallo Ilaria Marini, a proposito di digitalizzazione dei fascicoli dei sequestri per una storia dei reperti).

Un patto tra inquirenti e studiosi, che ha consentito di restituire voce a molti tesori rimasti per anni in archivio. Parliamo dei “corpi di reato” al centro di fascicoli giudiziari, custoditi dal Mann in attesa della definizione di processi a carico di trafficanti, ricettatori, acquirenti, boss e fiancheggiatori, in una galleria criminale dalle mille facce. 

Un patrimonio nascoso, tecnicamente «muto», perché incapace di parlare di se stesso, di fronte alla difficoltà di stabilire le origini e le epoche dei singoli oggetti. Inquirenti e ricercatori stanno lavorando a braccetto. In che modo? Studiando le carte dei processi, recuperando - lì dove possibile - testimonianze messe agli atti, spunti tratti da informative di polizia giudiziaria, oltre a mettere a frutto l’enorme patrimonio di conoscenza di cui dispongono gli studiosi del Mann. Arte e legalità, dunque. Oggi ci sono 14mila reperti potenzialmente strappati all’oblio. Ma torniamo al lavoro dei nostri detective. Facciamolo grazie alla passione del maresciallo Marini, carabiniere dotata di una spiccata sensibilità umanistica. Sono diversi i “casi” su cui ha lavorato. 

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Come il terribile conflitto a fuoco del 23 febbraio del 1990 in via Panoramica a Ercolano, quando la Mobile riuscì a impedire la fuga di una Fiat Ritmo zeppa di reperti rubati dal Museo Archeologico di Ercolano (i cui custodi notturni vennero immobilizzati e imbavagliati). Attimi terribili, perché i banditi fecero fuoco, prima di dileguarsi nelle campagne vesuviane, lasciando alle proprie spalle un bottino che oggi - a distanza di 33 anni - è degno di spiccare in bella mostra in qualsiasi esposizione di arte antica. Già, perché nel cofano della Ritmo c’erano un «cratere di campana del quarto secolo prima di Cristo», un «cratere a volute di produzione italiota (terzo secolo a.C.), una testa di cavallo e una “madre di Capua”, sempre di età pre cristiana». Uno dei reperti giudiziari più antichi riguarda invece una statua di marmo del secondo secolo d.C., usata - attraverso chissà quali giri -, per abbellire un condominio napoletano a Fuorigrotta: venne fuori nel 1928, durante i lavori di costruzione di rione Miraglia. Fu affidata ai carabinieri. Agli atti anche la ricompensa in denaro per «l’amministratore del condominio che avvistò per primo il busto di quasi duemila anni fa». 

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