Oltre a essere stata la prima città europea a ribellarsi ai nazisti, cacciandoli, Napoli è stata una delle poche città occidentali, insieme a Copenaghen e a Sofia, che pur essendo una grande metropoli con una comunità ebraica durante l'occupazione nazista, nel suo territorio nessun ebreo fu arrestato o deportato. Tra i primati negativi c'è quello di avere ancora un grande spazio che porta il nome di un fascista, piazzale Vincenzo Tecchio, «un'aberrazione in una città medaglia d'oro al valor militare per l'insurrezione spontanea contro i tedeschi. Spero che un giorno il piazzale cambi nome, così come spero non sia più dedicata a Vittorio Emanuele Terzo, firmatario delle leggi razziali, la biblioteca nazionale. Non è difficile, l'abbiamo già avuta vinta con la strada dedicata a Gaetano Azzariti, che fu presidente del Tribunale della razza, che poi è stata chiamata via Luciana Pacifici, la bimba napoletana di otto mesi denunciata a Milano e deportata ad Auschwitz insieme a tutta la sua famiglia» ha detto ieri il giornalista Nico Pirozzi in occasione della presentazione del suo “Italiani imperfetti” (youcanprint, pagine 212, euro 20) nella sede della comunità ebraica di Napoli in via santa Maria a Cappella vecchia.
Il libro racconta le storie dei napoletani deportati, in particolare della famiglia Procaccia, della quale partirono verso il campo di concentramento, oltre la piccola Luciana, che ad Auschwitz non arrivò mai perché morì durante il viaggio, il cuginetto Paolo Procaccia di quattro mesi più grande, i genitori Loris ed Elda di 33 e 24 anni, gli zii Aldo (le cui le tracce si persero poco dopo l'immatricolazione), Milena e Sergio (morto 32 giorni dopo la liberazione) di 39, 28 e 33 anni, e i nonni Amedeo e Jole di 62 e 59 anni.