Angelo Montemarano: «Non ero il re della sanità, il diritto alla salute violato dal commissariamento»

L'ex assessore regionale alla Sanità ed ex direttore generale della Asl Napoli 1

Antonio Bassolino e Angelo Montemarano
Antonio Bassolino e Angelo Montemarano
di Paolo Mainiero
Giovedì 11 Aprile 2024, 16:00
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«Una premessa....» 

Prego... 
«Non cerco incarichi. Ho chiuso».

Angelo Montemarano, 73 anni, è stato a lungo il dominus della sanità in Campania. Nell’ordine, direttore sanitario degli ospedali Elena d’Aosta e Pellegrini, dal 1999 al 2005 direttore generale della Asl Napoli 1, dal 2005 al 2009 assessore alla Sanità. Infine, presidente dell’Arsan.

Partiamo dall’inizio. Laurea in Medicina a 24 anni, specializzazione in Igiene e Medicina preventiva. Il medico l’ha fatto? 
«Se si riferisce all’attività clinica, no».

Perché? 
«Da studente fui eletto nel consiglio di amministrazione dell’università, in una lista di cattolici democratici. All’epoca ero interno ad Anatomia patologica, il direttore era Giuseppe Andreoli, che nel 1979 sarebbe stato eletto deputato della Dc».

La passione per la politica maturò all’università? 
«Erano gli anni in cui bisognava far partire il nuovo policlinico e mi resi conto di quanto in sanità fosse importante l’organizzazione. Lasciai la clinica medica e mi dedicai al management».

Un bel salto. 
«Sì, ma ho studiato. Ho conseguito tre master. A 31 anni ero direttore sanitario dell’ospedale Elena d’Aosta».

Quando nel 2005 fu nominato assessore si definì un tecnico prestato alla politica. Ma la politica quanto ha influito nella sua carriera? 
«Il mio maestro è stato un grande manager della sanità, Costantino Mazzeo.

Nel 1994 mi volle alla Asl Napoli 1. Portammo a termine una svolta epocale, le dieci Usl cittadine furono fuse in una sola azienda con dodici ospedali e 18mila dipendenti. Un’opera mostruosa».

Nel 1999, presidente della giunta Andrea Losco, fu nominato direttore generale della Asl Napoli 1. 
«C’era stato il ribaltone. Mazzeo morì e l’assessore alla Sanità Ettore Liguori propose la mia nomina per garantire continuità alla direzione. Non fu una scelta politica».

La sanità già all’epoca non se la passava bene, i debiti si accumulavano anno dopo anno. 
«È vero. Purtroppo i diversi meccanismi di finanziamento hanno sempre penalizzato la nostra regione, attribuendole una quota di risorse inferiore a quella dovuta sulla base della percentuale di popolazione. Succedeva venti anni fa, succede ancora oggi, e l’autonomia differenziata allargherà gli squilibri territoriali».

Lei era un fedelissimo di Ciriaco De Mita. Nel 2005 la volle assessore per bilanciare il peso dei Ds in giunta. 
«Con De Mita condividevo le comuni origini irpine. La sua amicizia mi onorava, il confronto con lui era sempre affascinante. Ma non interferì mai nella mia attività di assessore. Quando fui nominato, lo chiamai al telefono, mi disse: “Sei un tecnico, poni le condizioni di una guida in autonomia. E quando scegli un primario, scegli sempre il migliore”. È il consiglio che ho seguito».

In verità sulla scelta dei primari ne nacque un caso per una vicenda di nomine non proprio trasparenti. 
«E infatti intervenimmo subito, approvammo una legge che regolava la scelta dei primari. Fummo la prima regione in Italia». 

Spesso si sente dire «fuori la politica dalla sanità». Perchè invece la politica invade la sanità? 
«Se il diritto alla salute è nella Costituzione è naturale che la politica se ne debba interessare».

È vero che a gennaio del 2006 Clemente Mastella chiamò in piena notte dalle Mauritius per imporre il direttore generale di una Asl? 
«Se chiamò non chiamò me».

Ma la spartizione ci fu... 
«In giunta c’erano assessori di Ds, Margherita, Rifondazione, Psi, Udeur, Verdi. Era chiaro che si dovessero ascoltare le diverse sensibilità politiche ma non accettammo nomi imposti». 

Con Bassolino andava d’accordo? 
«Era il presidente della giunta, era naturale che ci fosse un confronto continuo. Il mio rapporto con lui è stato sempre di estrema lealtà».

La “sua” Asl Napoli 1 aveva accumulato tre miliardi di debiti. 
«Le Asl, in totale, avevano debiti per nove miliardi».

Mal comune mezzo gaudio? 
«No, sforavano tutte per garantire l’assistenza. La sanità, per funzionare alla perfezione, avrebbe bisogno di risorse che nessuno Stato potrà garantire. La Campania, aggiungo, ha pagato anche l’ostracismo delle altre regioni. Il criterio di ripartizione legato all’età anagrafica ci procurava un danno di 300 milioni all’anno. Nel 2006, in Conferenza Stato-Regioni mi misi di traverso. Ero solo contro tutti. Bloccai l’accordo, alla fine il presidente Vasco Errani fece una proposta di mediazione. Alla Campania per gli anni 2006, 2007, 2008 e 2009 fu garantito un “fondino” aggiuntivo».

In verità fu anche portata l’Irpef al massimo, furono aumentate le accise sulla benzina e fu anche introdotto il ticket. Un’operazione lacrime e sangue... 
«O riduci l’offerta sanitaria o i soldi da qualche parte li devi prendere. Non è che i soldi li puoi stampare, come pretendeva Pancho Villa».

Ma non bastò perchè nel 2009 la sanità fu commissariata. 
«Io non fui commissariato, avevo lasciato l’assessorato quattro mesi prima. Tremonti, che era ministro dell’Economia, mi disse che se non fossi stato sostituito la Campania non sarebbe stata commissariata».

Perchè si dimise? 
«Non mi dimisi, fui revocato».

Perchè?
«Dovrebbe chiederlo a Bassolino, forse ebbe pressioni da Roma».

Ma la sanità oggi come sta? 
«Male, malissimo. Il commissariamento è stato una tragedia. Per far quadrare i conti e sanare i bilanci sono stati chiusi ospedali e reparti, è stato tagliato il personale, sono state bloccate le assunzioni. Il risultato è la mancanza di investimenti, la carenza di medici, i malati sulle barelle, le liste d’attesa infinite. E infine l’esasperazione dei cittadini che poi si riversa, in maniera anche violenta, e ovviamente sbagliata, su medici e infermieri».

Alla fine il tecnico cedette alla politica. Nel 2009 si candidò alle europee con il Pd. 
«Accettai l’invito di un gruppo di amici. Presi quasi 82mila preferenze, fui il secondo dei non eletti. Ma non ho rimpianti».

Cosa fa oggi Angelo Montemarano? 
«Mi godo la famiglia. E offro consigli a chi me li chiede. Guardi, la mia più grande soddisfazione è vedere che la gran parte degli attuali dirigenti delle Asl è cresciuta e si è formata con me. Ne sono orgoglioso». 

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