Napoli, Domenico Sepe rilegge Sammartino e il sacro perde il pudore

Alla Cappella Palatina del Maschio Angioino esposte nove sculture

La mostra di Domenico Sepe
La mostra di Domenico Sepe
di Giovanni Chianelli
Mercoledì 27 Marzo 2024, 09:28 - Ultimo agg. 17:54
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Tre tecniche per nove sculture. Quella che accoglie i visitatori è in cera, si chiama «Pudore svelato» e rappresenta il busto di una donna dal seno scoperto, priva di un braccio, con l’espressione del volto mortificata: Domenico Sepe l’ha scolpita nel 2007 per urlare contro la violenza di genere. Un’altra è «Napoli velata», in argilla, di nuovo un «volto di donna, immagine della città, una figura che lascia intravedere attraverso il velo tutta la sua bellezza» dice l’artista. Quella al centro della sala, in bronzo, è l’opera più nota dello scultore partenopeo, «Cristo rivelato», che omaggiando - fino alla maniera - il capolavoro di Sammartino gli conferisce dinamica, mettendo in mostra il redentore nell’atto di alzarsi dalla sepoltura: «Un’idea di rinascita che ognuno di noi conosce, continuamente». Sono alcuni dei lavori della mostra «Rivelato - I misteri del sacro», a cura della storica dell’arte Giuseppina Iacovelli, fino all’8 maggio alla cappella palatina del Maschio Angioino.

Napoli, la donna e la rivelazione i significati centrali dell’esposizione di Sepe: «L'allestimento realizza un viaggio attraverso la fede come sentimento religioso, ma anche come come legame verso le proprie radici e dunque verso la donna, e infine per la città», dice la curatrice. «Diverse opere esplorano il mistero del divino non rinunciando alla carnalità del profano, provocando nell’osservatore un dissidio interiore».

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È in bronzo anche «Napoli rivelata», dark side della città che stavolta prende le forme di un’anziana provata dall’esistenza; «Cristo nel miracolo di Lazzaro» in cui, ancora una volta, il velo è contemporaneamente scoperta e segreto, e la scultura più anomala all’interno della mostra; «Allievo Nunziatella».

 

La scultura meno originale è «Divino segreto» che, per una volta ancora, parla del mito della sirena a Napoli; quella più interessante, nella sua semplicità, è «Vacua omnia», con cui Sepe ha plasmato nell’argilla l’immagine antropomorfa della sofferenza.

I connotati corrugati, la smorfia del viso e gli occhi socchiusi trasmettono un senso di angoscia: «Rappresentano il momento di sconforto che colpisce l’essere umano alla ricerca disperata dell’intervento divino; l'ora in cui, in qualche modo, l'uomo “crea” Dio».

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