Storia di quattro angeli senza ali: «La legge non ammette serafini» di Salvatore Testa

È la storia divertente e tragica di quattro vite di margine

«La legge non ammette serafini»
«La legge non ammette serafini»
di Giovanni Chianelli
Lunedì 23 Gennaio 2023, 14:57 - Ultimo agg. 17:01
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Una speaker che non accetta il suo corpo sta per essere licenziata dalla radio per cui lavora. Un uomo appena uscito dal carcere cerca di ritrovare una sua collocazione in società. Una donna moldava, da anni in Italia, nel suo complesso adattamento in un Paese feroce. E un timido matto che gira portando con sé una cassa di legno, unico tesoro in una vita senza affetti e senza pensieri “normali”. Sono i protagonisti dello spettacolo “La legge non ammette Serafini”, un progetto del T.S.O. (Teatro Sotto Osservazione), scritto e diretto da Salvatore Testa che è in scena con Giulia Piscitelli, Marica Nicolai e Pasquale Aprile. Negli ultimi mesi è stato rappresentato al Bolivar di Napoli e al Madrearte di Villaricca, nell’ultimo weekend al Piccolo teatro Cts di Caserta che, per inciso, è un unicum nella regione: ricavato nella taverna di una casa, con una platea di 50 posti, palco in legno e impianto professionale, nasce su impulso di Angelo Bove che per poter continuare a dare spazio a voci emergenti ed emerse ha trasferito 30 anni di impegno teatrale nella sua abitazione.

È la storia divertente e tragica di quattro vite di margine: ognuna per motivi diversi ma simili nell’esito, ovvero ugualmente fatti fuori dalla società; candidi voltairiani, angeli senza ali, serafini, appunto, caduti in terra e forzati a vivere senza neanche la speranza del ritorno al volo.

La speaker (Nicolai) perché è una narcisa senza poter apparire e condannata da un fisico che non può apprezzare, impiegata in un’emittente provinciale, costretta a ripetere lo slogan stanco secondo cui “un giorno senza sorriso non vale la pena di essere vissuto”. È il personaggio dei quattro che non interagisce con gli altri se non fortuitamente, all’inizio, raggiunta dalle telefonate alla radio su un tema che l’autore ha in modo molto intelligente posto in apertura di spettacolo: “Se trovaste 980 euro a terra li consegnereste alla polizia o li terreste per voi?”.

Il primo a rispondere è l’ex detenuto, interpretato da Aprile, con moglie e figli a carico, un lavoro che non apprezza, appetiti bassi esemplificati dall’incontro con un’amante: la donna moldava, Piscitelli, che un po’ tutti giocano a chiamare “rumena”, la figura che sembra più attrezzata all’esistenza, forte di un passato durissimo, ma che finirà per cedere alla debolezza verso l’uomo che chiama “coglione.

Ma il mio, coglione”. E poi c’è Serafino, interpretato da Testa: cerca madre e padre in un coppia di calzini usati come marionette e perfino nei due amanti improbabili. Teneramente fulminato, veggente inascoltato, nel finale prova a riscattare almeno un principio di umanità in queste esistenze disgregate.

Il concetto è chiaro: la legge non ammette serafini, ovvero la società non ha spazio per immigrati, ex galeotti, dementi e donne non appetibili, e per decine di altre categorie. Testa racconta di aver concepito l’idea durante la pandemia pensando al tema della solitudine; non è, dunque, necessariamente una riflessione sociale ma più esistenziale, perciò il fine del lavoro non è, o non è solo, la denuncia ma l’accento su una condizione comune a più latitudini. Come se fosse la poetica a realizzare il contenuto e non viceversa.

E dunque il modo in cui è condotto il montaggio delle scene a cambiare le carte in tavola, con sequenze non lineari anche se è molto semplice l’arco narrativo. Così il regista ha potuto ottenere un risultato puramente teatrale in cui si gioca tutto sui tempi, le battute e gli scambi dei personaggi: che sono fortunatamente quasi mai sopra le righe, quasi sapessero di stare giocando e di poter riscattare con ironia il destino avverso, tanto che verso il finale l’ipotesi aleggia nell’aria: “Se fossimo in uno spettacolo teatrale…”. Lo siamo, eccome. E dato che si ride e si pensa e si gusta la storia speriamo di rivederlo presto, e di rivedere altri lavori così.

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