Perchè crederci
fino all'ultimo

di Mimmo Carratelli
Sabato 20 Maggio 2017, 00:00
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Notte di festa, di commiato gioioso, di grande saluto popolare alla bellezza azzurra. Stasera il San Paolo, pressoché al completo, avrà vibrazioni antiche. Le vibrazioni dell’anima di Napoli, l’anima che si incanta davanti a un’alba sul Vesuvio, a un tramonto oltre Ischia, al cielo di stelle fra Posillipo e Sorrento, l’anima educata da poeti e canzoni e che, a Fuorigrotta, è stata conquistata da un manipolo di calciatori.

Undici ragazzi che hanno saputo trasformare una partita di pallone in un messaggio di allegria, di felicità, di incantesimo. Come faceva Maradona. Il calcio di Diego, suprema bellezza del gioco, spalmato su una intera squadra, questa squadra di Sarri, fondata da Benitez, che starebbe bene in una vetrina di Bulgari, piccoli e grandi gioielli luccicanti. D’accordo, è la nostra inguaribile retorica di non vincenti, di cuori palpitanti per prodigi che la cronaca accenna appena, di felicità tutta nostra senza riscontri in casistiche, almanacchi, memoriali e libri di storia. D’accordo. Ma se il pallone è un gioco, divertiamoci a questo gioco. E questo Napoli ci fa divertire. Non neghiamolo, siamo orgogliosi di questa bellezza del pallone azzurro cui molti guardano con sincero stupore e ammirazione, pochi sottolineando sì, siete belli, ma che cosa avete vinto?


E chi se ne frega! La sola bellezza del gioco azzurro ci riempie, ci sazia, ci fa brillare gli occhi. Simme ‘e Napule, paisà. E a Napoli basta poco per essere felici. Un sorriso, un amore, una canzone, una squadra di calcio che gioca come in paradiso. Angeli azzurri che volano sull’erba, intrecciano traiettorie celesti, accarezzano la palla, soffiano nelle reti avversarie. Napoli è un sogno continuamente sospeso sul Golfo. Ci piace sognare. Vincere è la fine del sogno, l’incantesimo che non è più incantesimo, è favola rubata dalla cronaca. Siamo poeti, non prosatori. Siamo in continua attesa di un prodigio. L’attesa è tutto. È ansia dolcissima, è fremito, è esaltazione, è tensione struggente. Questa sera, al San Paolo, col permesso della Fiorentina, diremo grazie a un bel sogno che rimane sospeso nel cielo di Fuorigrotta, a una squadra che ha creato questo sogno, questa attesa, questa gioia pura e semplice. È un godimento fine a se stesso, come ci piace a Napoli. Esteti decadenti? E sia. Grazie a tutti i giocatori, a Sarri, al presidente che ora parla di scudetto, saremmo pronti l’anno prossimo. Grazie a questi giocatori che, in un modo o in un altro, sono ragazzi che ora conoscono il segreto del loro bel gioco, alfiere Pepe Reina, prim’attore Marek Hamsik, fino a Dries Mertens che ha scelto Palazzo Donn’Anna per godersi il golfo azzurro. Il segreto è essersi legati a questa città, averne capito l’anima popolare, il palpito dei tifosi unici al mondo, le emozioni che Napoli sa dare. Gli schemi, la tecnica, la tattica, la punta e il tacco, la corsa non sono niente se non li nutre un sentimento di appartenenza, di identità, di amore. Lo capì Maradona che fu napoletano tra i napoletani, che fu Maradona a Napoli, che ebbe l’orgoglio di battersi per il sud del mondo che è Napoli. Se altri club costruiscono i successi sulla ricchezza, sui trofei conquistati, sul casato e sul potere, Napoli non può costruire nulla, nel pallone soprattutto, che non abbia questa spinta unica, l’amore per la città. Ne fanno fede i messaggi dei giocatori azzurri sui social. Va bene, pensiamo a questa partita che conclude il campionato al San Paolo.

Torniamo, terra terra, alle chiacchiere della vigilia, all’avversario che è stato l’unico, dice Sarri, a non consentire al Napoli la supremazia del possesso-palla, questo vangelo del calcio moderno, ai record della sua storia che il Napoli insegue, il numero dei gol e delle vittorie, i punti in classifica, i primati in trasferta.
Numeri, cifre, algoritmi che non esprimeranno mai il primato di bellezza del gioco, un “numero” per gli occhi e per il cuore che sfugge ad ogni casistica, ad ogni ragioniere dei moduli tattici, ad ogni calcolatore dei più e dei meno, ai cronisti senz’anima, agli algidi osservatori delle classifiche. Riecheggiano ancora, nell’etere, le esclamazioni stupefatte di telecronisti conquistati “in diretta” dalle prodezze azzurre. Non è vero! Non ci posso credere! Ma che calcio è? Il pallonetto di Mertens ad Hart, le triangolazioni volanti della banda dei piccoletti, i “tagli” di Callejon, il “giro” di Insigne, lo stile adamantino di Hamsik, la furia agonistica di Allan, i palloni in serie di Jorginho, la difesa alta, la squadra corta, i ricami, il merletto, l’onda offensiva e lo sbuffo del gol. Qualcuno ha scritto felicemente che il segreto di questo Napoli è «la voglia di giocare», irresistibile e gioiosa, la stessa che abbiamo avuto tutti, da bambini, rincorrendo e domando una palla prima degli occhi e del cuore di una donna. È proprio così.
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