Una rampa di lancio
da non lasciare sola

di Nando Santonastaso
Martedì 6 Giugno 2017, 23:55
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Che la sfida per il Sud resti soprattutto sulle infrastrutture è un dato ormai acquisito. Che si possa vincere e non solo in superficie è invece un bel punto interrogativo e non solo perché un progetto è grande e dunque «fatalmente» appetibile dalle organizzazioni criminali, locali e non.


Il punto vero forse è che in un contesto per così dire normale, una stazione ferroviaria, un aeroporto o uno scalo marittimo non possono non essere sinergici tra di loro. Devono cioè far parte di un sistema perché questa è la condizione primaria e irrinunciabile per soddisfare le esigenze di un numero sempre maggiore di viaggiatori o, nel campo delle merci, di spedizionieri e operatori della logistica. Se la stazione di Afragola viene considerata, con un eccesso di pessimismo, ancora una sorta di «cattedrale nel deserto» non è solo per l’immancabile scetticismo che da queste parti (ma forse non solo) accompagna ogni realizzazione infrastrutturale. È anche perché si teme che l’alta velocità/alta capacità non riescano a fare rete con le preesistenze delle territorio, dai nodi della logistica di Marcianise e Nola-Interporto al sistema portuale.


Il rischio insomma è che si possano anche prevedere importanti performance dei singoli operatori (basterebbe rileggersi le straordinarie cifre del movimento passeggeri di Capodichino o degli sbarchi di turisti a Napoli e da qualche tempo anche a Salerno) ma che alla fine di sistema, cioè della capacità di far funzionare treni, navi e strade in maniera sinergica resti poco o nulla. Non è un problema di poco conto per una regione come la Campania che sul piano potenziale ha tutto, anche dal punto di vista infrastrutturale, per reggere la sfida della competitività. I numeri dell’economia non sono certo ancora fortissimi e il peso della disoccupazione giovanile è ancora notevole ma di sicuro in miglioramento e l’imminente approvazione delle Zes può dare al sistema portuale e retroportuale una enorme iniezione di fiducia. Serve però una regia unica e attenta, della politica in particolare, perché risorse e capacità imprenditoriali o gestionali che sicuramente non mancano non vengano disperse.


Serve cioè quel salto di qualità nella gestione dei sistemi integrati di trasporto che da solo basterebbe a far compiere un salto di qualità a un territorio: e salto di qualità vuol dire collegamenti razionali ed efficienti tra scali ferroviari, aeroportuali e marittimi e con l’entroterra; vuol dire sviluppo all’ennesima potenza di poli interportuali capaci di movimentare milioni di tonnellate di merci se opportunamente orientati; vuol dire un ricasco in termini di posti di lavoro e di investimenti a dir poco concreti.
Se invece a prevalere è la logica dei campanili, della difesa ostinata e sterile di presunte rendite di posizione, di alibi immancabili (le elezioni, la crisi economica, la sicurezza eccetera eccetera) lo scenario resterà quello di adesso: grandi opere infrastrutturali, ammirate da tutto il mondo, o enormi poli di movimento delle merci, separati in casa pur essendo distanti gli uni dagli altri solo una manciata di chilometri. Allora sì che sarebbe inutile continuare a discutere di programmazione, connessioni e sinergie pubblico-privato come si cerca di fare da anni, con risultati ancora modesti peraltro. Avrebbe vinto la logica del «mordi e fuggi», la stessa che alla fine sarà ricordata solo per avere sottratto terre all’agricoltura come già accadde negli anni ‘70 a proposito del boom dell’industrializzazione della Campania e del Mezzogiorno.
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