Caso Calabria, ecco perché i medici “fuggono” dal pubblico

Caso Calabria, ecco perché i medici “fuggono” dal pubblico
di Lorenzo Calò
Venerdì 19 Agosto 2022, 00:00 - Ultimo agg. 07:17
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La decisione del governatore della Calabria, Roberto Occhiuto, di contrattualizzare 497 medici cubani per sopperire alle carenze del sistema sanitario locale solleva una serie di interrogativi sulla disponibilità operativa dei camici bianchi in Italia e sull’omogeneità professionale con il nostro sistema di specialisti provenienti da altri Paesi. Gli altri nodi riguardano la copertura dei posti disponibili nel settore pubblico, l’adeguatezza delle risorse finanziarie a disposizione e il rapporto tra la formazione dei medici e il loro (più o meno) rapido «assorbimento» in corsia. 

Le stime prevedono che entro il 2030 mancheranno in Italia circa 24mila medici, 10.173 specialisti in meno solo nel prossimo anno. Ma davvero esiste questa carenza? Innanzitutto, il dato appare molto più confortante se lo si confronta con le media Ue: secondo Eurostat (dati 2020) l’Italia è il secondo Paese con più medici in assoluto su scala Ue con circa 240mila sugli 1,7 milioni registrati tra i 27 Stati comunitari, dietro solo alla Germania (357mila, il 21,1% del totale) e davanti a Francia (212mila) e Spagna (188mila).

Questo vuol dire che in Italia avevamo 397 medici ogni 100mila abitanti secondo Eurostat o 3,1 medici ogni 1000 abitanti secondo Istat nel 2014 saliti poi a 405 ogni 100mila abitanti nel 2019. Dunque, il vero problema non sta nel totale ma nella pressoché nulla omogeneità dei sistemi regionali che porta con sé due corollari-tagliola: il primo è il tetto di spesa per le assunzioni, in vigore da oltre 15 anni, che impone alle Regioni di non spendere più di quanto hanno fatto nel 2004 togliendo poi l’1,4 per cento; l’altro è l’allontanamento dei camici bianchi dal sistema sanitario pubblico: i neospecialisti che vengono formati sono circa 6mila l’anno, di cui solo circa la metà/due terzi accetta un lavoro nel Ssn da cui annualmente escono in media 7mila professionisti, fatto che quindi determina una capacità di sostituzione assai limita, a circa 3mila-4mila ogni anno. Chiaro il meccanismo? Ora, una corsia preferenziale è stata aperta durante la pandemia con assunzioni straordinarie (oltre 30mila, molte a tempo determinato) che però sono state quasi tutte precarie. La seconda causa è stata l’assenza di programmazione del sistema formativo che di fatto ha causato un imbuto per cui per molti laureati in medicina non c’erano sufficienti borse per specializzarsi e quindi si sono formati troppo pochi giovani medici. Solo negli ultimi anni c’è stata una inversione di tendenza e si è passati dalle 6-7mila borse l’anno alle 13.400 del 2020 e alle oltre 18mila del 2021. In futuro il Pnrr prevede in media 12mila borse l’anno per i laureati in Medicina. Ma per farli lavorare bisogna aspettare che si specializzino e quindi 4-5 anni dall’inizio del corso.

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Proprio sull’utilizzo degli specializzandi si sta consumando in queste ore una feroce polemica in Calabria dopo che, appena un mese fa, il commissario dell’Asp di Reggio Calabria Lucia Di Furia, aveva seccamente smentito l’arrivo di 84 medici, sempre cubani, in alcuni ospedali di Reggio Calabria. Poi ieri la decisione del presidente Occhiuto di ufficializzare l’ingaggio di quasi 500 camici bianchi provenienti dall’isola caraibica pagati 4700 euro netti al mese. Quanto basta per far scattare la protesta dei sindacati che hanno ricordato al governatore come in Calabria ci sia un mini-esercito - scrive l’Anaao - di 669 specializzandi (tra cui 73 anestesisti rianimatori, dieci cardiochirurghi e 10 interventisti d’urgenza) pronti a dare una mano. Eppure in Calabria i dati Eurostat aggiornati a dicembre 2021 censiscono 388 medici ogni 100mila abitanti contro i 372/100mila abitanti della Lombardia, i 345/100mila abitanti del Veneto, i 390/100mia abitanti della Campania. Insomma: dove sono e perché non si trovano i camici bianchi?

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Dunque, è nel pubblico che i medici non vogliono lavorare. Nel 2017 il Ministero della Salute conteggiava 104.979 medici assunti a tempo indeterminato nel servizio sanitario nazionale fra Asl, aziende ospedaliere ed universitarie, Irccs, Ares (Agenzia regionale sanitaria) ed Estav. L’«anomalia» sta però nel fatto che, parallelamente, nello stesso anno sono stati censiti 12.255 medici nelle strutture «equiparate al pubblico», 24.213 medici nelle case di cura convenzionate e 3.326 medici nelle case di cura non convenzionate. In totale si parla di 39.794 professionisti operativi nel settore privato: una cifra pari a oltre un terzo di quelli assunti nel pubblico, anche se le due categorie non si escludono a vicenda.
 

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