Strade killer e velocità, l’infinita «Spoon river» di chi si muove in bici

Travolti da Suv, da camion, da tir: 127 ciclisti morti in incidenti nel 2023

Incidente in bici
Incidente in bici
di Antonio Menna
Venerdì 8 Dicembre 2023, 23:30 - Ultimo agg. 9 Dicembre, 15:10
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Non sono sufficienti tre anni e undici mesi di carcere per la morte del campione del mondo Davide Rebellin, ciclista, investito in bicicletta nel novembre dello scorso anno sulle strade italiane da un camionista tedesco ora in cella. Pena troppo esigua per «un fatto di estrema gravità». La decisione del Gip di Vicenza, Roberto Venditti, che ha respinto la richiesta di patteggiamento presentata dall’avvocato di Wolfgang Rieke, l’autotrasportatore arrestato per omicidio stradale, apre uno spiraglio sulla considerazione che si deve avere per la strage in due ruote sulle strade italiane. 

Sono 127 i morti in bicicletta nel 2023. Travolti da Suv, da camion, da Tir. I numeri sono del report dell’Associazione sostenitori e amici della polizia stradale (Asaps). Delle 127 vittime, 48 avevano un’età superiore ai 65 anni. A volte, chi provoca l’incidente fugge senza prestare soccorso. Lascia sanguinante e ferita, a terra, con la bici a pezzi, la povera vittima. Le regioni dove ci sono più morti sono, ovviamente, quelle dove si usa più la bici: Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Toscana. Ma a morire sulle strade non sono solo i ciclisti. Travolti e uccisi anche i pedoni, fratelli uniti nel destino. Sono 263 nel 2023. Si muore in sella, si muore a piedi, si muore perché travolti da un mezzo di grandi dimensioni, pesante, veloce: un missile su un corpo inerme. «La velocità è il grande tema – dice Alfredo Di Giovampaolo, giornalista, che conduce su Rainews Cammina Italia -. Non è pericoloso andare sulle strade italiane ma è pericoloso come si guidano le auto sulle strade italiane. Il problema non è la strada in sé ma la macchina lanciata ad alta velocità. Con il paradosso che in alcuni casi le strade vengono costruite per far correre, poi si mettono i limiti e non si rispettano». Sul tema della velocità sulle strade è nato un documento delle associazioni per la mobilità sostenibile «per favorire una discussione pubblica e aprire tavoli di progettazione sulla sicurezza stradale e sulla qualità della mobilità urbana e dello spazio pubblico nelle città italiane». 



A partecipare sono la Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta, Legambiente, Asvis, Kyoto Club, Anmca, Vivinstrada, Salvaiciclisti, Fondazione Michele Scarponi, Amodo e Clean Cities Campaign. Obiettivi del documento, chiamato Città Trenta, è limitare la velocità ma non solo coi divieti. «Città 30 – si legge nel documento - nasce per rispondere a un bisogno primario che è la sicurezza dei cittadini e dal diritto a potersi spostare al suo interno senza il tributo quotidiano di morti e feriti sulle strade e in particolare delle strade urbane. Occorre ricordare che gli incidenti stradali sono la prima causa di morte tra i giovani sotto i 24 anni. In realtà la Città 30 non è semplicemente la riduzione di un limite di velocità, ma un “intervento” più ampio e complesso, infrastrutturale e culturale, di riqualificazione dell’ambiente urbano mediante la restituzione di spazio pubblico alle persone, alla loro sicurezza e socialità».

«Non solo limite – dice ancora Di Giovampaolo - ma allargare marciapiedi, creare più isole pedonali, la città deve essere delle persone.

Lo scontro non è tra automobilisti e ciclisti perché a Roma ti uccidono anche se passeggi sul marciapiede. Chi guida una macchina deve capire che ha una massa di due tonnellate e se viaggia a velocità eccessiva uccide. Il tema è le velocità, lo dice Istat, la velocità è la prima causa di morte sulla strada. Parliamo molto della guida in stato di ebbrezza ma questa causa solo il 6 per cento degli incidenti mortali». Ma intanto la velocità è sempre più un business, anche dell’immaginario. Macchine potenti, sfreccianti, che corrono silenziose. «Ma dove corrono? - si domanda Di Giovampaolo -, nella realtà restano a lungo fermi nel traffico. La verità è che le nostre città non sono nate intorno alle auto ma intorno alle persone. Poi abbiamo trasformato i luoghi in funzione delle auto. E la loro velocità è diventata il problema».

Tutto il Paese intorno ai veicoli. L’Italia investe 100 volte di più sull’auto che sulla bici. Lo dice un dossier Clean Cities, Fiab, Kyoto Club, Legambiente. Novantotto miliardi di euro per automotive e infrastrutture stradali contro poco più di un miliardo per bonus bici e ciclabili urbane ed extraurbane. Tanti soldi per spingere all’uso dell’auto, pochi per rendere più vivibili le città. Come meravigliarsi che poi, all’improvviso, un giorno di novembre del 2022 un Tir piomba veloce sul corpo in bici del campione del mondo, uccidendolo. Scenario, del resto, frequente e ripetitivo. Accadde anche a Michele Scarponi, scalatore, travolto in allenamento da un furgone. «Un fatto di estrema gravità», lo ha definito un giudice. Una vera emergenza, bisognerebbe aggiungere, che colpisce campioni e dilettanti, piccoli e grandi.

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