Incidente Frecce Tricolori, il comandante Carlo Galiotto: «Emergenza ingestibile, per decidere c’erano solo 2 secondi»

L'esperto: "Il pilota ha fatto tutto il possibile con un velivolo divenuto ingovernabile"

Incidente Frecce Tricolori, il comandante Carlo Gallioto: «Emergenza ingestibile, per decidere c’erano solo 2 secondi»
Incidente Frecce Tricolori, il comandante Carlo Gallioto: «Emergenza ingestibile, per decidere c’erano solo 2 secondi»
Paolo Ricci Bittidi Paolo Ricci Bitti
Domenica 17 Settembre 2023, 00:26 - Ultimo agg. 11:44
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Bisogna contare fino a due, due secondi, per capire il tempo che ha avuto il maggiore Oscar Del Dò per decidere che cosa fare quando il suo jet si è trasformato in 4 tonnellate di ingovernabile metallo.


«Sì, non di più, il filmato mi pare molto chiaro - dice Carlo Galiotto, romano, ex ufficiale dell’Aeronautica militare e una lunga carriera da comandante nell’Alitalia, storico dell’aeronautica - Una tragedia terribile, penso a quella famiglia, a quella bambina: un dolore immenso. E penso anche a quel pilota che sarà per sempre segnato dal dolore anche se, almeno da quello che si sa finora, non possono essergli attribuite responsabilità».


Che cosa può essere accaduto?
«Possiamo solo fare ipotesi. La più accreditata è quella di un “severe bird strike”, un grave impatto con uno stormo di uccelli che hanno di fatto bloccato il motore Rolls-Royce Viper dell’Mb-339 in una fase delicata come il decollo, per di più in formazione».

 


A che velocità stava procedendo Pony 4 e a che quota?
«Ipotizzo circa 250 chilometri orari e forse a 60/70 metri di altezza. Il maggiore deve avere avvisato la formazione del problema nello stesso istante in cui ha avvertito il “vuoto” di potenza. Come da procedura, si vedono sia il primo gruppo di 5 frecce sia il secondo di 4 “allargarsi” a destra per fare spazio al velivolo in difficoltà».


Che cosa deve fare a quel punto il pilota?
«Proprio quello che ha fatto.

Ripeto, posso solo fare ipotesi ricordando anche l’altissima professionalità di questi piloti. A quella quota, a quella velocità, in quella zona, ovvero sulla verticale della pista e non sopra a zone abitate, il pilota ha avuto due secondi per scegliere se morire inutilmente nell’impatto con il suolo oppure di lanciarsi».

 
Non poteva insomma assolutamente manovrare?
«No, non credo potesse. La procedura a questo punto affiora dall’istinto di pilota prima ancora che dalla memoria degli addestramenti: shut off (chiusura del flusso di carburante al motore) e trim a picchiare per obbligare l’aereo ad andare subito giù. Poi si tirano le maniglie gialle e nere fra le gambe che azionano il seggiolino eiettabile Martin Baker, dotato di rostri che sfondano il tettuccio spesso 8 millimetri. Una potente carica esplosiva proietta all’esterno il seggiolino e il pilota a esso assicurato. Il paracadute si apre in automatico. Nel video si nota sia il muso del jet che viene spinto verso il basso dalla forza dell’esplosione della carica del seggiolino sia l’apertura del paracadute».


L’aereo aveva i serbatoi pieni di carburante, almeno 700 litri.
«Certo, era appena decollato. Si vede l’entità dell’esplosione al primo impatto del velivolo con il suolo. Poi l’aereo in fiamme, che conservava ancora inerzia, continua evidentemente a scivolare fino a sfondare la recinzione alla “testata” della pista e ad arrivare sulla strada tangente allo scalo».


Tutto ciò in pochi secondi.
«Sì. E credo proprio che il pilota abbia scelto di eiettarsi solo perché si trovava ancora sulla pista, lontano insomma da zone abitate. Era logico immaginare che il velivolo sarebbe precipitato solo sullo scalo. Ripeto, faccio ipotesi: un pilota professionista, come quelli delle Frecce, fa questi ragionamenti all’istante per non mettere a repentaglio la vita degli altri anche a discapito della sua. Se il maggiore fosse restato ai comandi? Credo che nulla sarebbe cambiato nella dinamica che ha portato alla terribile morte della bimba e che ci sarebbe da piangere di sicuro una vittima in più».

Paolo Ricci Bitti
 

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