«Mio padre vittima del dovere:
il nostro dovere è non dimenticare»

«Mio padre vittima del dovere: il nostro dovere è non dimenticare»
di Anna Gloria Ciaburro
Giovedì 17 Settembre 2020, 08:00
3 Minuti di Lettura
Sono Anna Gloria Ciaburro e ho una storia da raccontare…

Sono la più grande dei quattro figli del Maresciallo Maggiore dei Carabinieri Luigi Ciaburro, Vittima del Dovere.

All’alba del 9 settembre del 1975 a Villa Literno, mio padre perdeva la vita mentre svolgeva un’azione di contrasto alla criminalità. Quella mattina la mia vita e quella della mia famiglia furono scosse da una potente deflagrazione. Io avevo quattordici anni, mia madre trentotto anni e i miei fratelli: Olimpia dodici, Giuseppe sette e Giancarlo quattro. Tutti noi sconvolti e travolti da un dramma che ci apriva le porte ad un percorso di vita arduo, pieno di difficoltà e sofferenza.

Mio padre era un uomo dedito alla famiglia, impegnatissimo nel suo lavoro che svolgeva con Altissimo Senso del Dovere. Papà, fedele alla sua “Mission”, si prendeva cura della Caserma, dei suoi uomini con i quali, nei momenti informali, assumeva un fare paterno: aveva a cuore i problemi della gente. Ho il ricordo di un papà impegnatissimo che operava in un territorio, già a quei tempi, difficile. Un papà perennemente in divisa ma che trovava un po’ di tempo per stare con noi: i suoi racconti, il semplice parlare dei compiti a fine giornata, quell’ amore mascherato da un atteggiamento di autorevolezza poco convincente per noi… lui era il nostro papà!

Il dopo è stato terribile, ci sono voluti anni di grande sofferenza, coraggio, volontà. Tanta forza per recuperare, per ricostruire la nostra famiglia, per ritrovare un po’ di equilibrio, grazie all’ impegno e al sacrificio di mamma. È stata forte, ci ha sempre sostenuti, guidati, ci ha insegnato a guardare avanti senza mai dimenticare l’ esempio che ci era stato dato e che in tutti i modi dovevamo onorare. Sono stati anni davvero complicati, anni in cui il vuoto lasciato da papà e la sua mancanza incolmabile ci ha sempre accompagnati procurando in ognuno di noi una profonda ferita, una cicatrice che, ancora oggi, brucia e fa male.

Questa è la mia storia, è mia perché parla di me, descrive un capitolo doloroso della mia vita ma che accomuna tante famiglie italiane, famiglie che come la mia hanno subito lo stesso dramma.

Famiglie che vivono e si confrontano tutti i giorni con il vuoto voluto e determinato da un’azione criminale che gli ha strappato, in maniera tragica e per sempre, l’affetto dei figli, dei fratelli, dei mariti e dei papà.

Un vuoto che ha fatto maturare in tutti noi familiari, la volontà di riprendere a raccontare e a ricordare: il sacrificio dei nostri cari non può essere cancellato, deve appartenere al patrimonio civile, storico, culturale ed etico del nostro Paese.

Imbatterci nella Fondazione Pol.I.S. e nelle persone che in essa operano, è stato determinante, in loro abbiamo ritrovato una famiglia, persone che dedicano tanta attenzione, rispetto, cura e impegno alla memoria delle vittime innocenti della criminalità. Con loro abbiamo deciso di riprendere a raccontare e a ricordare; insieme agli altri familiari abbiamo creato un legame di appartenenza, condivisione e comprensione reciproca. Ci è piaciuto pensare di poter dare nuova vita ai nostri cari attraverso il racconto del loro sacrificio.

Un unico racconto, una “Narrazione” che nasce dalla descrizione di un evento tragico per divenire “Memoria” di un popolo che non vuole dimenticare e che attraverso l’esempio di tutti coloro che hanno pagato con la vita l’attaccamento ai valori di Democrazia, Giustizia e Libertà, hanno volontà di costruire un mondo più bello, più buono, più giusto. 
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