Luisa Impastato: «Così ho raccontato a mio figlio la lotta di suo zio Peppino contro la mafia»

Luisa Impastato: «Così ho raccontato a mio figlio la lotta di suo zio Peppino contro la mafia»
di Luisa Impastato
Sabato 30 Gennaio 2021, 21:26
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Quando mio figlio Niccolò aveva quattro anni, provai, per la prima volta, a raccontargli la storia di Peppino, di questo zio così coraggioso da far arrivare tanta gente da tutto il mondo a Casa Memoria: “Così lo zio Peppino provò con il suo coraggio a sconfiggere i cattivi, che si chiamavano mafiosi”.

“E io questi mafiosi li sconfiggerò con il super potere di Geko!” rispose lui.

È così, probabilmente, che mi è stata raccontata la sua storia, una storia che non ho vissuto personalmente perché sono nata nove anni dopo il suo assassinio, ma che, in qualche modo, ho subìto ed è diventata anche la mia storia. Non ricordo il momento in cui mi è stata raccontata, ci sono cresciuta dentro, sono venuta su con la consapevolezza di una consanguineità di cui andare fortemente orgogliosa, anche se spesso non è stato facile e, devo ammettere, continua a non esserlo. Nonostante non l’abbia conosciuto, Peppino ha fatto sempre parte dei miei “ricordi”, perché era sempre presente in maniera costante nei racconti di chi gli è vissuto accanto, soprattutto in quelli di mia nonna, questa straordinaria donna con cui ho avuto la fortuna di crescere e che è stata la prima custode della memoria di Peppino. La sua è una storia di resistenza che inizia da giovanissima, da quando decise di rompere un matrimonio combinato e riuscì a sposarsi per amore fino a quando iniziò a trovarsi tra due fuochi, il marito da una parte e il figlio dall’altra. Ma è soprattutto con l’uccisione di Peppino che mia nonna inizia la sua battaglia, quella che l’ha impegnata ogni giorno della sua vita, da quel 9 maggio del 1978 fino al suo ultimo giorno. Non prima di aver visto condannare, dopo 24 anni di lotte sociali e giudiziarie, i mandanti dell’omicidio del figlio e la sua memoria riscattata da una relazione della Commissione Parlamentare Antimafia che ne attestava il depistaggio. Ma soprattutto - ed era quello che più di tutto la emozionava e la gratificava - ha letto negli occhi di migliaia di persone la condivisione delle idee di Peppino.

Se ancora oggi, a quarantatré anni dal suo assassinio, molte persone guardano a lui come punto di riferimento e varcano le soglie di Casa Memoria per conoscere i suoi luoghi e sentire da vicino la nostra testimonianza, se in tanti, anche i più giovani o chi come me non ha conosciuto Peppino, né vissuto quegli anni, ne condividono le idee e ne sposano le cause, il merito è soprattutto di mia nonna e della sua infaticabile voglia di raccontare.

Raccontare, questo faceva, da quando decise di tenere aperte le porte della sua casa per non disperdere la memoria di quel figlio barbaramente ucciso. Ed è quello che continua a fare oggi Casa Memoria, l’eredità morale che ci ha lasciato.

Per questo, non posso non sposare l’idea che Angela Iantosca ha trasposto nel suo libro,“ Gli eroi di Leucolizia”, perché al centro del suo progetto c’è la convinzione che il racconto sia il veicolo naturale per fortificare la memoria. A rendere l’intenzione ancora più forte contribuisce la scelta dei destinatari: i ragazzi. Gli stessi che prediligeva mia nonna, perché in mezzo a loro vedeva Peppino, gli stessi a cui si rivolgeva con più speranza, quei ragazzi che le chiedevano “signora Felicia, ma noi che cosa possiamo fare per combattere la mafia?“ e a cui lei rispondeva “ragazzi: studiate”.

Ancora oggi a Casa Memoria, con cui proviamo a dare continuità al percorso iniziato da mia nonna, è soprattutto ai giovani che è rivolto il nostro impegno. Personalmente ritengo che il passaggio di testimone sia necessario se non si vuole vanificare quanto ottenuto e difendere ciò che si è faticosamente conquistato. Io stessa sono il frutto di questo impegno e se ho deciso di farmi carico della memoria di Peppino e Felicia è perché ho ascoltato i racconti di quest'ultima, dai quali ho tratto la responsabilità di provare a dare un contributo, seppur piccolo, al miglioramento della società in cui cresceranno i miei figli. E il libro di Angela Iantosca, con la sua prosa e la sua poesia, con le sue immagini pregne di fantasia ma incredibilmente ancorate alla realtà, anche a quella più crudele, concede ai ragazzi la possibilità di prendere in mano questo testimone e di diventare i nuovi custodi della nostra memoria, concede loro di “ innalzarsi” come fanno i protagonisti del racconto su Peppino, in cui chi si affranca dalla cultura mafiosa, dalla prepotenza e della sopraffazione in favore della libertà, della verità e della giustizia, diventa un trampoliere.

Un libro come questo è un ulteriore e prezioso contributo alla memoria, un regalo, se vogliamo, alle nuove e nuovissime generazioni nei confronti delle quali dovremmo avere il dovere del racconto, che permetta loro di accogliere il passaggio di testimone con consapevolezza e responsabilità.

*Presidente Casa Memoria Peppino e Felicia Impastato

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