Lo scambio impossibile tra gli sgravi al Sud e l'Autonomia al Nord, le Zes non bastano

Vanno garantiti i servizi ai cittadini e la perequazione infrastrutturale

Lo scambio iimpossibile tra gli sgravi al Sud e l'Autonomia al Nord, le Zes non bastano
Lo scambio iimpossibile tra gli sgravi al Sud e l'Autonomia al Nord, le Zes non bastano
di Andrea Bassi
Sabato 15 Luglio 2023, 00:14 - Ultimo agg. 08:40
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Il piano del governo, va detto, è ancora in uno stato embrionale. Ci vorranno forse un paio di mesi per capire bene come funzionerà la Zona speciale unica per tutto il Mezzogiorno annunciata dal ministro per il Sud Raffaele Fitto e di quanti fondi disporrà. Ma quello che già oggi sul piano politico sta emergendo, è una sorta di scambio: aiuti che alle imprese che scelgono il Meridione per far digerire al Mezzogiorno il progetto di autonomia differenziata fortemente voluto da Veneto e Lombardia. Uno scambio iniquo che parte da un presupposto sbagliato. Dall’idea che bastano sgravi e aiuti economici alle imprese per rimettere in moto un territorio lasciato indietro per decenni. Nel 1950, fatto 100 il Pil pro-capite di un cittadino del Nord, quello del Sud era del 52,9 per cento. Dopo 70 anni è a poco più del 56 per cento. Carlo Borgomeo, per anni presidente della Fondazione con il Sud (si veda intervista in pagina), ha ben spiegato che se prima non si investe nel capitale umano è difficile poi che gli aiuti alle imprese e allo sviluppo attecchiscano. Qualche giorno fa la fondazione Invalsi ha rilasciato i dati sui test degli studenti delle scuole primarie e secondarie per il 2023. Gli alunni meridionali sono drammaticamente indietro su tutte le materie: italiano, matematica e inglese. Il presidente dell’Invalsi, Roberto Ricci, ha parlato di un «progressivo distanziamento negativo», aggiungendo però, che non si tratta soltanto o tanto di differenze di apprendimento, ma anche di «opportunità di apprendere». Che significa? Un anno fa la Svimez, in un ormai famoso studio, aveva calcolato che un bambino delle elementari che vive nel Mezzogiorno studia durante il suo ciclo, un anno in meno di un suo coetaneo settentrionale. Come è possibile? Perché nel Sud il tempo pieno a scuola è ancora un miraggio. L’Ufficio Parlamentare di Bilancio, in una lunga analisi consegnata alla Commissione Affari Costituzionali del Senato, ha stimato che per garantire il tempo pieno in tutte le classi, servirebbe aumentare la dotazione di insegnati del 30 per cento. Servirebbero, cioè, 4 miliardi. Una delle principali richieste “autonomiste” delle Regioni del Nord riguarda proprio la scuola. Veneto e Lombardia vorrebbero pagare di più gli insegnanti e migliorare l’offerta. E questo trattenendo i soldi delle tasse dei loro cittadini. 

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Le distanze aumenterebbero ancora.

E quello della scuola è solo uno dei Lep che vanno definiti e finanziati per assicurare parità di condizioni in tutto il territorio nazionale. I diritti di cittadinanza non possono essere scambiati con gli sgravi alle imprese o le semplificazioni, senz’altro utili e auspicabili, previste dalla riforma delle Zes. Ma c’è anche un altro tema che andrebbe affrontato apertamente: i divari infrastrutturali tra Nord e Sud e la necessità di una “perequazione”. Per andare da Roma a Lecce, che distano tra loro circa 500 chilometri, ci vogliono 7 ore. Per coprire la stessa distanza tra Roma e Milano ce ne vogliono 3. «Se i divari infrastrutturali non vengono colmati», spiega Andrea Del Monaco, esperto di fondi per il Sud, «anche gli aiuti rischiano di essere controproducenti. Quando finiscono le imprese se ne vanno lasciando un deserto». 

IL PASSAGGIO

Nei giorni scorsi il ministro per gli Affari Regionali, Roberto Calderoli, ha spiegato in Senato la sua idea per colmare questi divari. «Per quanto riguarda il gap infrastrutturale delle Regioni, posto che prima di definire i Lep è impossibile quantificare gli stanziamenti di copertura necessari», ha detto il ministro, «si potrebbero utilizzare le risorse inutilizzate del Fondo per lo sviluppo e la coesione e dei Fondi strutturali europei nel settennato 2014-2020 che, unite a quelle del settennato 2021-2027, ammonterebbero a una cifra superiore ai 200 miliardi». Spendiamo cioè per il Sud, quello che già è del Sud. Da 9 mesi il riparto di queste risorse per il Mezzogiorno è bloccato dallo stesso governo anche in attesa della riscrittura del Pnrr. Sarà un passaggio importante per capire se le rimodulazioni del Piano penalizzeranno alcune Regioni a vantaggio di altre. È evidente che gli incentivi automatici di Transizione 5.0 che saranno inseriti nel nuovo capitolo del Pnrr, il RepowerEu, andranno soprattutto a favore delle imprese settentrionali. 

Ma non va dimenticato che il meccanismo dei “vasi comunicanti” tra Pnrr, Fondi di coesione e RepowerEu, deve rispettare alcune regole. La prima è che i Fondi europei hanno un vincolo di destinazione del 75 per cento al Sud. E quelli del Pnrr devono essere destinati almeno per il 40 per cento al Mezzogiorno. Non sono insomma possibili “travasi” dal Meridione verso il Nord, come pure diversi esponenti delle Regioni settentrionali hanno chiesto. Le Zes, insomma, sono solo un tassello (utile) di un puzzle molto più complesso. Non possono essere trasformate in una foglia di fico per l’autonomia. 

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