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GIORGIA MELONI

Toto ministri, i nodi di Meloni: l'ipotesi dei ministri tecnici non piace agli alleati. La deadline del 20 ottobre

Tajani il possibile "jolly", si cercano soluzioni alternative al Viminale per Salvini

Governo Meloni, l'ipotesi dei ministri tecnici non piace agli alleati e il 20 ottobre c'è il Consiglio Ue: avremo già un nuovo governo?
Governo Meloni, l'ipotesi dei ministri tecnici non piace agli alleati e il 20 ottobre c'è il Consiglio Ue: avremo già un nuovo governo?
di Fausto Caruso
Articolo riservato agli abbonati
Lunedì 3 Ottobre 2022, 11:35 - Ultimo agg. : 17:12
5 Minuti di Lettura

«Dare risposte efficaci e immediate ai principali problemi» è questo il compito che si è data Giorgia Meloni durante la sua prima uscita pubblica post elezioni, quando sabato scorso ha presenziato all’evento di Coldiretti a Milano. Il Problema, con la p maiuscola, che va affrontato è quello del caro bollette che rischia di far chiudere migliaia di attività e mettere sul lastrico le famiglie italiane. Per poter affrontare in maniera «efficace» la questione la leader di FdI deve prima avere un governo che possa aiutarla a farlo. E qui cominciano i suoi di problemi.

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I nodi: gli alleati e la questione dei tecnici

Meloni ha un obiettivo: formare un governo che sia istituzionalmente inattaccabile, almeno nelle posizioni chiave. Per questo vorrebbe che a capo di alcuni ministeri ci fossero dei tecnici di alto livello con la competenza necessaria a portare a termine le riforme previste e varare una manovra finanziaria efficace nei tempi stretti che il nuovo esecutivo avrà a disposizione, poco più di due mesi. Questa scelta ridurrebbe però lo spazio per distribuire caselle agli alleati. Ecco spiegato il monito lanciato dal coordinatore nazionale di Forza Italia Antonio Tajani: «Noi siamo per un governo politico, poi se ci sono personaggi che hanno raccolto un'esperienza tale da essere nel governo pur non essendo parlamentare può accadere, ma che siano dei casi, non la regola». Una dichiarazione che, se pare fare qualche concessione sulla questione tecnici, invita la futura premier a non abusare di questa opzione quando si arriverà alle nomine. Proprio Tajani potrebbe essere una soluzione ai dubbi di Meloni, perché quello dell’ex presidente del Parlamento Europeo è un nome “politico”, come da richiesta, che però è spendibile per diversi ruoli chiave, in modo da poter poi sistemare le altre caselle come più conviene. Uno dei ruoli in lizza per il numero du di FI è il ministero degli Esteri, per cui sono “candidati” anche Guido Crosetto ed Elisabetta Belloni (responsabile dei servizi segreti, è l'ipotesi tecnica per la Farnesina). In alternativa la Difesa o, novità delle ultime ore, anche gli Interni.

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Proprio il Viminale ha rappresentato un tasto dolente fin dalle ore immediatamente successive al trionfo elettorale. Il segretario della Lega Matteo Salvini lo ha chiesto pubblicamente e privatamente all’alleata, che però vorrebbe evitare di riavere il Capitano su una poltrona dalla quale è finito in un processo tutt’ora in corso (quello sul caso Open Arms). La soluzione di compromesso potrebbe essere lasciare gli Interni a un tecnico che però graviti in quota Lega, come l’ex prefetto Matteo Piantedosi, dirottando Salvini al ruolo di vicepremier con delega alle Infrastrutture o al Lavoro.

Come se non bastassero i veti sul governo, Lega e Forza Italia hanno per le mani anche una grana interna da risolvere che riguarda le imminenti elezioni regionali in Lombardia. Il leghista Fontana vuole essere di nuovo il candidato di centrodestra, ma Letizia Moratti, attuale assessore alla Sanità, reclama per sé questo ruolo. La questione potrebbe essere risolta assegnando un ministero a uno dei due, ma per convincere uno dei contendenti a lasciare Milano dovrebbe trattarsi di un dicastero di peso, come la Sanità, e questo potrebbe innescare un risiko di poltrone molto pericoloso per gli equilibri di coalizione.

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Ultimo ruolo chiave per affrontare la crisi economica in atto è il ministero dell’Economia. Anche qui Meloni gradirebbe un tecnico. Sfumata l’ipotesi della permanenza di Daniele Franco, il preferito di FdI sarebbe Fabio Panetta, membro del board della Bce. Panetta però sembra guardare più al possibile ruolo di governatore di Bankitalia. L’alternativa è Domenico Siniscalco, già ministro delle Finanze nei governi Berlusconi I e II.

Le scadenze: dalle bollette al Consiglio Europeo

A mettere fretta alla presidente di FdI sono questioni interne e di politica estera che non possono attendere. Il caro bollette, su cui ora pesa anche l’interruzione totale dei flussi di gas dalla Russia, richiede al più presto un governo nel pieno delle sue funzioni che possa prendere le dovute misure, come il disaccoppiamento del prezzo del gas da quello dell'eenrgia rilanciato da FdI. Anche qui Meloni deve contenere le esuberanze di Salvini che fin dalla campagna elettorale chiede un corposo scostamento di bilancio, che invece per l’alleata deve essere «l’extrema ratio».

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L’altra scadenza è il 20 ottobre, data in cui è previsto a Bruxelles un Consiglio Europeo importantissimo per la questione energetica. Altro dilemma. Le nuove Camere si riuniranno solo il 13 ottobre e dovranno eleggere i nuovi presidenti, dopo di che potranno partire le consultazioni per la nomina del nuovo governo. Per sbrigarsi in una settimana servirebbe un percorso in cui tutti i passaggi si svolgessero senza alcun intoppo, in modo da avere l’incarico a Meloni per il 17 ottobre e la fiducia entro il 19. Cosa complicata se le discussioni con gli alleati non si dovessero risolvere nei prossimi giorni. In condizioni normali il governo attuale resterebbe in carica fino a fine mese, dando modo alla nuova premier di sciogliere tutti i nodi, ma il Consiglio Ue può cambiare le carte in tavola. La prima soluzione sarebbe che questo fosse l’ultimo di Mario Draghi come presidente del Consiglio italiano. Il problema è che, per quanto autorevole possa essere la persona dell’ex banchiere, mandarlo a Bruxelles mentre ha già un piede fuori da Palazzo Chigi renderebbe la sua presenza a un incontro decisivo poco più che nominale. Dall’altro lato i dubbi di Meloni sono più che fondati: la leader di FdI è vista come un’incognita dalle cancellerie occidentali e il Consiglio sarebbe una magnifica occasione per rassicurare i partener sulla sua affidabilità. Ma andare a Bruxelles dopo essere stata costretta ad affrettare alcune scelte sui ministri o, peggio, senza ancora essere passata per la fiducia delle Camere, avrebbe l’effetto opposto a quello desiderato.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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