Le indagini hanno consentito agli investigatori di ricostruire i tasselli di un mosaico che avrebbe portato alla luce un pericoloso panorama criminale. Il sodalizio - con solidi collegamenti con ambienti 'ndranghetisti - si era imposto a Viterbo e provincia attraverso una serie di aggressioni e gravi atti intimidatori, esercitando un'azione di controllo del territorio. Particolarmente grave l'episodio che hanno visto incendiare l'auto ai carabinieri. Ad eseguire l'ordinanza di custodia cautelare i carabinieri del comando provinciale di Viterbo, coadiuvati dal Raggruppamento Aeromobili di Pratica di Mare, dalle unità cinofile e da militari dell'8° Reggimento Lazio.
Le 13 persone sono indagate, a vario titolo, per i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso (art. 416 bis del c.p.). I dettagli saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa che si terrà alle 11 a Roma, nella sede del Comando Provinciale dei Carabinieri alla presenza di Michele Prestipino, Procuratore aggiunto Dda Roma e del colonnello Giuseppe Palma, Comandante Provinciale dei Carabinieri di Viterbo.
A capo dell'organizzazione due imprenditori a cui è stata contestata per la prima volta nel viterbese l'accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso.
Si tratta di Giuseppe Trovato, detto Peppino, 43enne di origini calabresi con legami con la famiglia 'ndranghetista Giampà di Lamezia Terme, gestore di alcuni compro oro, e di Ismail Rebeshi, detto Ermal, imprenditore albanese di 36 anni nel settore dei locali notturni e della rinvedita di auto. L'organizzazione smantellata dai carabinieri era dedita principalmente a imporre il proprio controllo su attività economiche e anche sul traffico degli stupefacenti.