Ultimo Natale per George Michael:
il leader degli Wham aveva 53 anni

Ultimo Natale per George Michael: il leader degli Wham aveva 53 anni
di Federico Vacalebre
Lunedì 26 Dicembre 2016, 00:05 - Ultimo agg. 28 Dicembre, 14:55
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Ultimo Natale per George Michael: l'ex leader dei Wham!, popstar dalla vita spericolata e perennemente sotto i riflettori, è morto ieri a casa sua a Goring-on-Thames, a Ovest di Londra, nei pressi di Reading, «serenamente», riferisce il suo agente parlando di uno scompenso cardiaco e aggiungendo poi che la famiglia chiede il rispetto della privacy. I soccorsi - riferisce la Bbc - sono arrivati nell'abitazione nel primo pomeriggio. La polizia precisa che «non ci sono circostanze sospette» legate alla morte dell'artista.
Si allunga così la Spoon River musicale che, nel 2016 ha pagato un tributo straordinario di talenti, da David Bowie a Prince, da Leonard Cohen agli ultimi grandi scomparsi proprio in questi giorni di feste, Rick Parfitt, il sessantottenne chitarrista degli Status Quo, e il coro dell'Armata Rossa.

 

 

«Last Christmas», risuonata chissà quante migliaia di volte nelle scorse ore, raro caso di hit pop diventato quasi un «traditional» delle feste natalizie, è stato il suo più grande successo ed ora rimane a raccontare della fine della vita e della carriera di Georgios Kyriacos Panayiotou, cento milioni di dischi venduti e il mal di vivere nascosto sotto gli occhiali da sole indossati quasi 24 ore su 24. Il brano uscì come singolo nel 1984, secondo nelle vendite in Inghilterra come in gran parte del mondo solo a «Do they know it's Christmas?», hit del progetto Band Aid cui pure partecipò in persona, non solo devolvendo i proventi alla carestia in Etiopia. Il pezzo sarebbe dovuto uscire un anno prima, intitolato «Last Easter», ma i discografici vollero aspettare cambiando saggiamente l'ambientazione da Pasqua a Natale. Poi George tornerà sul tema nel 2010 con «December song (I dreamed of Christmas»).

Londinese di East Finchley, un padre greco-cipriota e una madre inglese, aveva iniziato a fare musica con l'amico del cuore Andrew Ridgeley, formando prima The Executive e poi The Wham!, con cui aveva trovato rapidamente il successo, nonostante le polemiche con i discografici che avrebbero caratterizzato un'intera carriera. L'esordio è del 1982, i due sembrano volersi accreditare come la prima proposta bianca di rap, ma poi virano (è George il leader e il compositore) verso un nu soul che deve molto alla Motown: «Fantastic», il primo lp dell'anno successivo conquista subito le hit parade internazionali con«Bad boys»e «Club Tropicana». 
Spavaldi, abbronzati, saggi nell'uso del videoclip e gay friendly, gli Wham! partecipano a definire il suono e ancor più il look del loro tempo, dominato dai new romantics Duran Duran e Spandau Ballett. In America si parla di nuova "british invasion" e nel 1984 arriva «Make it big», con altri tormentoni planetari come «Wake me up before you go go», «Freedom», «Careless whisper« e «Everything she wants». Il successo internazionale, Cina compresa, non impedisce che i due amici litighino e decidano di sciogliere il duo. «The final», antologia con inediti, annuncia la rottura, celebrata nel giugno 1986 da un concertone a Wembley.  Andrew tornerà praticamente nel dimenticatorio, George farà tutto il contrario, non sempre però per motivi musicali.
Intano è l'icona di una generazione, con gli orecchini sui due lobi, il ciuffo, il sorriso beffardo e, soprattutto, l'ugola di miele figlia del northern soul come della black music anni Sessanta e Settanta, che marchierà a fuoco l'educazione musicale e sentimentale dei suoi fans, ma non solo, svettando anche in eventi epocali e corali come nel 1986 «Live Aid», in cui divide «Don't let the sun go down on me» John, ma ancor più nel '92 quando, intonando «Somebody to love» al concertone a Wembley in memoria di Freddie Mercury è l'unico a non far rimpiangere la vocalità, e il falsetto potentissimo, della Regina del pop, condividendone anche l'ambiguo sex appeal, non poco determinante nella costruzione di un'immagine pubblica e nella capacità di penetrazione delle vite di adolescenti alla ricerca di un'identità e di una colonna sonora.
Michael si permetterà di duettare ancora con Aretha Franklyn, Whitney Houston, Stevie Wonder e Luciano Pavarotti, ma nella carriera solista faticherà a ritrovare se stesso, la popolarità e la semplicità degli hit giovanili.
Nel 1987, pubblica il suo primo album da solista, «Faith», lanciato dall'inno al sesso sicuro (siamo negli anni dell'esplosione dell'Aids) «I want your sex» verso la meta dei 17 milioni di copie vendute. Un trionfo, ma che pesa, il divo vorrebbe fare un passo indietro, scomparire, o far parlare per lui solo la sua voce e la sua musica, però l'industria discografica non gradisce l'idea e «Listen without prejudice» (1990) vende «solo» otto milioni di dischi. La battaglia contrattuale con la Sony lo spinge a un silenzio discografico, rotto nel '96 da «Older», che contiene «Jesus to a child», dedicata al compagno Alfonso Feleppa, morto di Aids tre anni prima. Difficile riprendersi da quel lutto, la depressione è dietro l'angolo, e non bastano a superarla erba, droghe e farmaci vari, anche perché il cantante non fa niente per restare lontano dai riflettori. Il 7 aprile 1988 finisce in prima pagina, arrestato per «condotta immorale» in un bagno pubblico in un parco di Beverly Hills da un poliziotto in borghese della buoncostume. «Mi ha seguito al bagno –  non sapevo fosse un poliziotto, ovviamente – e ha cominciato a fare quel gioco... credo si chiami "io ti faccio vedere il mio, tu mi fai vedere il tuo" », spiega lui, costretto al coming out dopo aver patteggiato una multa di 810 dollari e 80 ore di lavoro socialmente utile.
Il singolo «Outside» è l'immediato tentativo di vendetta, con un video in cui poliziotti cattivissimi inseguono poveri amanti, etero e gay, colpevoli solo di amarsi in luoghi improbabili, prima che tutto si concluda con uno «scandaloso» bacio degli agenti ipocriti. Pur socialmente impegnato, contro la Tatcher, la guerra in Iraq e al fianco di diverse associazione di volontariato, George ha rapporti non semplici con la comunità gay, soprattutto con quella artistica, polemizzando con Boy George, Morrissey e persino con l'amico Elton John, per il suo schieramente «leggero» sul fronte della lotta per i diritti. Sarà che ha altro da fare e che i tabloid lo hanno eletto a vittima preferita, anche perché lui regala loro notizie ghiottissime: nel 2006 viene arrestato per possesso di cannabis e guida in stato di ebbrezza, quattro anni dopo fa il bis, rifiutandosi di sottoporsi al test alcolemico dopo essersi schiantato con l'auto nella vetrina di un negozio, meritandosi una condanna a 4 settimane di carcere ed altre 4 settimane di libertà vigilata, oltre alla sospensione della patente.  
Il suo fisico risente dei problemi e della vita spericolata, lo si vede ingrassato e imbolsito, dal vivo ogni tanto la sua voce cede, ma resta straordinariamente duttile, l'arma migliore, spesso sprecata, a sua disposizione.  «Songs from the last century» (1999) è il suo disco di cover, «Patience» (2004) sembra quasi un concep album sul tema della perdita e della morte, «Symphonica» (2014) è il frutto di un tour orchestrale che lo riporta per l'ultima volta anche in Italia, per una volta anche a Napoli: incassato il no del San Carlo, l'impresario Mimmo D'Alessandro è costretto a ripiegare sull'Acciaiera Sonora, arena di Bagnoli aperta per poche settimane. Anche quel concerto, era l'11 settembre 2011 conferma luci e ombre di un talento e di un'ugola forse sprecati, schiacciati dal richiamo mainstream, dal peso del successo, dall'incapacità di non farsi logorare nella battaglia con uno showbusiness stupido quando spietato.
Poi... il suo ultimo Natale, paradossale conclusione di una carriera esplosa negli anni Ottanta in cui tuttò sembro possibile e, poi tutto finito, quando a morigerare una generazione che aveva scoperto una nuova libertà sessuale tra elettronica e videoclip, arrivò l'Aids.

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