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Il processo ha accertato che nessuna comunicazione, in effetti, era stata data a casa: il ragazzo seppe della bocciatura dai «quadri» a scuola, insieme alla sua ragazza e ad altri compagni di classe. Chiamò la madre, che però era al lavoro, quindi andò verso casa dell'insegnate che gli dava ripetizioni, ma proprio nel cortile di questi, bevve un solvente da un contenitore trovato sul posto. Un gesto fatale. Ma i giudici, in ogni grado, hanno ritenuto che non vi fosse un nesso certo tra la mancata preventiva comunicazione alla famiglia e il suicidio del ragazzo.
Visto il contesto e la mancanza di fattori di disagio, la corte d'appello è arrivata alla conclusione che fosse «estremamente bassa» la possibilità che un insuccesso scolastico potesse portare al suicidio «solo perché non preannunciata alla famiglia». Un ragionamento che la Cassazione non ha sindacato: «Deve escludersi - spiega la Corte - che la sequenza dei fatti "omesso avviso" "suicidio del minore" possa ricondursi alla necessaria dimensione probabilistica».