Quando ancora non era in polizia e la Banda della Uno bianca non esisteva, Roberto Savi, poco più che ventenne, sarebbe stato protagonista di alcuni attentati, commessi a Rimini nell'ambito di una militanza in movimenti di destra estrema. Azioni eversive con piccoli ordigni, danneggiamenti, che non provocarono vittime. A raccontarlo, attribuendosi la responsabilità dei fatti, è stato lo stesso capo del gruppo criminale che tra il 1987 e il 1994 uccise 23 persone e ne ferì oltre 100 tra Bologna, Romagna e Marche, chiedendo di essere sentito, circa un anno fa, dai pm della Procura di Bologna. Un'audizione che si è tenuta in videoconferenza dal carcere milanese di Bollate, con dichiarazioni spontanee del detenuto, che hanno collocato gli episodi all'inizio degli anni '70, fornendo riferimenti precisi. Savi avrebbe detto di aver agito da solo, senza i fratelli Fabio e Alberto che invece parteciparono ai delitti della Banda.
Non è chiaro se l'ex poliziotto abbia detto altre cose né se sulle sue parole, su episodi così risalenti nel tempo, siano stati fatti accertamenti. «Se vi fosse stata una sua partecipazione ad azioni terroristiche dell'estrema destra si aprirebbero scenari inquietanti sul significato anche politico delle azioni criminali della Banda della Uno Bianca.
Tuttavia, «la verità processuale su fatti accaduti successivamente è quella affermata nelle varie sentenze di condanna. Assolutamente nulla emerse circa possibili collegamenti con soggetti diversi da quelli individuati dalla Procure di Rimini e di Bologna».
È possibile che Savi, in carcere da quasi 29 anni senza mai un beneficio, abbia parlato per dimostrare un atteggiamento di collaborazione con una presa di distanza da crimini antichi. Nei mesi scorsi aveva chiesto la liberazione condizionale, cioè la possibilità di concludere la pena all'esterno del carcere, in regime di libertà vigilata.
Ma il tribunale di Sorveglianza di Milano, competente in quanto Savi è in carcere a Bollate, ha rigettato, verso la fine del 2022, dopo il parere negativo dell'istituto penitenziario. A breve intanto dovrebbe essere presentato l'esposto, frutto di un lungo lavoro di ricerca, da parte di familiari delle vittime della banda, che chiedono, a distanza di anni, di riaprire le indagini per accertare eventuali coperture e complicità alla banda, composta per cinque sesti da uomini con la divisa della polizia. E che per sette anni seminò il terrore.
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