«Un'app israeliana per spiare gli smartphone di giornalisti e attivisti»: ecco quali sono gli Stati accusati

«Un'app israeliana per spiare gli smartphone di giornalisti e attivisti»: ecco quali sono gli Stati accusati
«Un'app israeliana per spiare gli smartphone di giornalisti e attivisti»: ecco quali sono gli Stati accusati
Domenica 18 Luglio 2021, 22:21 - Ultimo agg. 19 Luglio, 07:04
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Un'app israeliana, utilizzata per spiare illegalmente giornalisti e attivisti per i diritti umani, da parte di diversi governi autoritari nel mondo. Un'indiscrezione clamorosa, quella che emerge dall'inchiesta svolta da 17 diverse testate internazionali.

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Tra le varie testate che hanno lavorato all'inchiesta c'è anche il Washington Post. Il software Pegasus, sviluppato dall'azienda israeliana NSO Group, sarebbe stato utilizzato per scopi di sicurezza da diversi governi autoritari, tra cui l'Ungheria, l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, ma non solo. Tra le vittime dello spionaggio, ci sarebbero anche persone vicine a Jamal Khashoggi, il giornalista ucciso nel 2018 all'interno del consolato saudita a Istanbul.

Il software, nato per consentire ai governi di seguire terroristi e criminali, è un malware che infetta gli smartphone e consente di avere accesso a messaggi, chiamate, foto, e-mail e di attivare segretamente i microfoni dei dispositivi.

L'inchiesta sull'app ha permesso di individuare oltre 50mila numeri di telefono, provenienti soprattutto da paesi noti per la sorveglianza dei loro cittadini e clienti di NSO Group.

In base ai numeri di telefono registrati dall'app, è stato possibile accertare anche la provenienza geografica delle persone più spiate. Oltre alle già citate Ungheria, Arabia Saudita e Emirati Arabi, ci sono paesi come Messico e Marocco tra quelli che hanno fatto più spesso ricorso a Pegasus. Tra le persone spiate ci sono diversi attivisti, oppositori politici e anche giornalisti di inchiesta che lavorano per Cnn, New York Times, Wall Street Journal, Financial Times, Voice of America e Al Jazeera.

Lo staff del premier ungherese, Viktor Orban, ha subito commentato l'indiscrezione e si è difeso così dalle accuse: «In Ungheria gli organi statali autorizzati all'uso di strumenti sotto copertura sono monitorati regolarmente dalle istituzioni governative e non governative. Avete fatto la stessa domanda ai governi degli Stati Uniti, del Regno Unito, della Germania o della Francia?».

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