Investì e uccise un bimbo di 5 anni: autista condannato, ma non ha fatto un giorno di carcere

Investì e uccise un bimbo di 5 anni: autista condannato, ma non ha fatto un giorno di carcere
Investì e uccise un bimbo di 5 anni: autista condannato, ma non ha fatto un giorno di carcere
di Enrico Chillè
Lunedì 17 Settembre 2018, 11:07 - Ultimo agg. 14:07
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Più di otto anni fa, alla guida di un bus-navetta del trasporto pubblico, aveva investito e ucciso un bimbo di cinque anni, ferendo anche la sorellina e la mamma del piccolo. Per questo motivo, un autista è stato condannato ma finora, grazie ad una serie di ricorsi e intoppi burocratici, non ha ancora scontato un giorno di carcere. Un senso di ingiustizia così profondo, quello vissuto dalla famiglia del piccolo, da indurre il papà a passare quotidianamente nel luogo dell'incidente.



Il dramma della famiglia Serrato, che vive in un quartiere periferico di Buenos Aires, in Argentina, iniziò nel tardo pomeriggio del 20 luglio 2010: il piccolo Facundo era appena uscito dallo studio del pediatra insieme alla mamma Cecilia e alla sorellina Eugenia, di appena sei mesi. Improvvisamente, mentre attraversavano le strisce pedonali col verde, il bus-navetta guidato da Carlos Veròn, giunto col rosso e a folle velocità, li ha colpiti in pieno. Cecilia riportò una frattura alla gamba, la piccola Eugenia una frattura al cranio che la costrinse a 17 diversi interventi chirurgici, tanto delicati quanto miracolosi. Facundo, però, fu investito in pieno e morì sul colpo.

Secondo quanto stabilito dagli inquirenti, e confermato dalla testimonianza di diversi passeggeri, Carlos Veròn avrebbe dovuto completare l'ultima corsa prima di poter riportare la navetta al deposito e tornare a casa. Per la fretta di staccare, l'autista aveva iniziato a correre all'impazzata, coprendosi la testa con un cappuccio di fronte alle proteste dei passeggeri, che gli avevano chiesto di moderare la velocità. Giunto in prossimità di un incrocio in cui il traffico era congestionato, Veròn aveva deciso di tentare l'azzardatissima mossa, conclusasi in tragedia.
Alla fine, la giustizia ha riconosciuto Veròn colpevole per la sua incredibile negligenza: l'autista è stato condannato a quattro anni e tre mesi di carcere. Una pena che all'opinione pubblica argentina è sembrata troppo blanda, ma che la famiglia di Facundo si accontenterebbe di vedere eseguita. Invece, a otto anni di distanza, grazie ad una serie di ricorsi, Carlos Veròn è un uomo libero anche se condannato, con un unico obbligo di firma al mese. Lo riporta Clarin.com.

«Passo più tempo io di lui, nei commissariati e nei tribunali. Non faccio altro che firmare documenti e presentare ricorsi, ma la lentezza della burocrazia di questo paese è imbarazzante» - racconta Gustavo Serrato, il papà di Facundo - «Ho chiesto la carcerazione di Veròn allo stesso tribunale che l'ha condannato, ma hanno respinto la mia richiesta. Ha fatto l'ultimo ricorso possibile, quello alla Corte Suprema, ed ora dobbiamo attendere un calendario fatto da quattro diverse udienze per sapere se potremo avere giustizia. Dopo tutto questo tempo».

Per questo motivo, Gustavo passa intere giornate con una maglietta su cui è stampato il volto del suo Facundo: sul luogo dell'impatto, non fa altro che ricalcare la stella disegnata col nome del figlio, lasciare fiori e chiedere a gran voce giustizia. «Eugenia oggi ha otto anni e mi chiede sempre: "Perché non è in carcere se ha ammazzato mio fratello?". Lei, come me e mia moglie, ha bisogno di una risposta» - si sfoga il papà di Facundo - «Io non so spiegarle perché questo paese ha una burocrazia così infernale, ma finché non avrò giustizia non smetterò di indossare la maglia con mio figlio e passare le ore nel punto in cui me l'hanno portato via. Qui, però, se la nostra famiglia non riuscirà ad ottenere giustizia, fallisce anche lo Stato».
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