Il bilancio non è definitivo: 90 morti e almeno 158 feriti, anche bambini tra le vittime. La strage all’aeroporto di Kabul, annunciata già dal giorno precedente, va in scena alle 17.30 ora locale, quando un kamikaze si fa esplodere nei pressi del Gate “Abbey” dello scalo internazionale, dove sono di stanza le forze statunitensi e britanniche. Fiumi di persone, almeno 5mila, sono all’esterno dello scalo, civili disperati che si accalcano e spingono per entrare, salire su un aereo e fuggire dal Paese. L’esplosione è enorme, colpisce la folla che si ammassa anche nell’acqua bassa di un canale di scolo, lungo la strada.
È il “dirty river”, di cui viene scritto in molti messaggi che rimbalzano dalla capitale afgana, posto sul perimetro esterno dello scalo internazionale. Superare il “river” vuol dire essere ammessi all’evacuazione in aereo. Tra le vittime ci sono anche militari e funzionari Usa, almeno tredici soldati Usa, la notizia viene confermata dal Pentagono, ma nessun italiano.
Alle 18.20 un’altra deflagrazione, probabilmente un’autobomba, nei pressi del Baron hotel, sempre nella stessa zona. Il piccolo canale si tinge di sangue e i feriti vengono portati via su carriole o a spalla. Alcuni testimoni parlano anche di uomini armati che avrebbero sparato verso l’alto. Era l’obiettivo più facile, infiltrarsi in quel fiume umano tra bagagli e bambini è stato semplice per gli attentatori, ma anche strategico.
Tra le vittime non ci sono solo civili e militari Usa. Ma anche talebani. Mentre l’orrore va in scena, viene diramato un nuovo allarme: non si esclude un lancio di razzi in direzione dell’aeroporto. L’azione viene rivendicata dall’Isis Khorasan, terroristi della provincia afghana del Khorasan da anni in lotta con i talebani. E il capo del comando centrale Usa, Kenneth McKenzie, dice di aspettarsi che gli attacchi dell’Isis a Kabul continuino. In serata nuove esplosioni, ma sarebbero state causate dalla distruzione di alcuni equipaggiamenti da parte delle truppe Usa.
«Ci sono molti morti vicino a me e il canale è diventato color sangue». È disperata la ragazza afghana all’aeroporto, che ha contattato la ong Cospe di Firenze e che, spiega l’organizzazione, «avrebbe dovuto entrare con il nostro gruppo ma purtroppo è rimasta fuori dal gate a causa dell’esplosione». La folla, ha raccontato, rimane assiepata lungo nel canale, un fossato che separa la strada dall’ingresso vero e proprio dell’aeroporto. «Hanno ucciso tre persone davanti ai miei occhi», dice un’altra donna afgana, anche lei assistita dalla ong italiana che, a differenza dell’altra, ce l’ha fatta a entrare in aeroporto e può sperare in un volo che la porterà in Italia. Un altro testimone ha raccontato in diretta a Fox News di aver cercato di salvare una neonata che invece è morta poco dopo tra le sue braccia. «È stato come il giorno del giudizio universale, persone ferite ovunque. Ho visto gente correre con il sangue sui loro volti e sui loro corpi», ha raccontato un altro testimone.
L’azione viene rivendicata dall’Isis Khorasan, Isis-K, Islamic State Khorasan Province, ne parlano i giornali locali, ma soprattutto è ritenuta credibile dall’intelligence americana che aveva indicato proprio in questo gruppo il maggiore pericolo, diramando l’allarme per un attacco imminente.
Il gruppo, come ricostruiva ieri il Guardian, è stato fondato sei anni fa nella provincia sud occidentale pachistana del Balochistan, durante un incontro fra due emissari dell’Isis e un gruppo di talebani delusi dai loro comandanti. Allora lo Stato Islamico era nel pieno del suo successo e controllava ampie parti dell’Iraq e la Siria. Il nome di provincia di Khorasan si riferisce a imperi musulmani medioevali in un’area fra parti dell’Iran, l’Afghanistan e l’Asia centrale.