«Una risata vi seppellirà». L'enigmatico ed efficacissimo slogan del 68 potrebbe essere il più adatto ad accompagnare la deriva di questa surreale crisi russo-ucraina, ingigantita dagli Stati Uniti e presa terribilmente sul serio dagli europei, nonostante le sue conseguenze non proprio leggere sull'economia e la vita delle persone. Succede infatti che nel giorno della preannunciata (dalla Cia) invasione russa dell'Ucraina, Vladimir Putin e il presidente Zelensky si ritrovino sulla stessa lunghezza d'onda di quando Mosca e Kiev facevano parte dell'Unione delle Repubbliche sovietiche: l'ironia che diventa l'arma definitiva, sfoderata da entrambi per silenziare i tamburi di guerra. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, racconta con un sorriso che «a volte il presidente Putin scherza e ci chiede di controllare se gli americani hanno pubblicato l'ora esatta in cui comincerà la guerra. Per noi è impossibile capire la follia di questa informazione maniacale». E da Kiev sembra fargli eco il presidente ucraino Zelensky, che dismette le vesti ufficiali e si cala in quelle del fondatore della Lega giovanile della Risata, quando interpretava il Presidente dell'Ucraina che sarebbe davvero diventato. «La Russia sta pianificando l'invasione per il 16 febbraio, ci è stato detto che quello è il giorno dell'attacco», declama ai giornalisti da ex comico, impersonando se stesso con evidente sarcasmo. Maria Zacharova, portavoce del ministro degli Esteri russo, si allinea pure lei alla consegna dell'ironia e proclama che il 15 febbraio, ieri, «passerà alla storia come il giorno del fallimento della propaganda occidentale... Umiliati e distrutti senza sparare un colpo».
È guerra, ma di nervi e bufale.
Rientra tutto nella logica della propaganda ideata nelle cancellerie, ma è comunque una escalation drammatica: i risultati sono infatti gli stessi di una guerra da stivali sul terreno, per i disastri economici e il disfacimento del sistema di relazioni fra gli Stati e i Paesi. Un po' come esser tornati «all'idea della bomba al neutrone, che eliminava le organizzazioni biologiche preservando il resto, mentre in questo caso sopravvivono gli esseri viventi e sparisce il contorno, perché in fondo la guerra non mira a uccidere ma ad appropriarsi dei beni economici e dei vantaggi relazionali del nemico».
In questa guerra di propaganda attorno all'Ucraina il pivot, per una volta, non è Putin ma Joe Biden. E Mosca non può che ribattere annunciando il ritiro di forze impiegate in realtà, o forse, per normali esercitazioni. In fondo, l'ironia è anche un modo per «non perdere la faccia», che è uno dei risultati più importanti in grado di evitare che il conflitto degeneri. La morale è che gli americani, conclude Lombardi, fanno propaganda esattamente come i russi e i cinesi. «È solo un nostro pregiudizio ritenere che le fake siano un'arma esclusiva di Mosca. Ovvio che tutti adesso diranno di aver vinto». I russi avranno smascherato le bugie dell'Occidente. Gli americani avranno impedito la guerra grazie all'anticipazione dell'invasione. Gli unici a perdere saranno, oltre agli ucraini, gli europei che avranno, come al solito, dato prova delle loro divisioni interne. E di una preoccupante mancanza d'ironia.