Fermare la Russia perché la Cina ci guarda.
All’attuale dramma Ucraina, Mike Pompeo aggiunge il potenziale dramma Taiwan.
Ex numero 1 della Cia, già segretario di Stato dell’era Trump, per più di qualcuno, futuro candidato alla presidenza degli Stati Uniti.
Repubblicano, “falco” interventista quasi per eccellenza.
L’italo-americano originario di Pacentro ne ha davvero per tutti, specie per Biden, naturalmente.
Che non esita a definire «un debole».
«Da quando c’è lui alla Casa Bianca, è Putin a dettare l’agenda».
Uno “zar” di cui forse come nessun altro avverte la pericolosità.
Del resto, tra ex Cia ed ex Kgb, tra pragmatismo, maniere (forti) e psicologia, i due devono addirittura intendersi.
«Siamo indietro almeno dall’estate scorsa», spiega a chiare lettere.
«È da mesi che maneggiamo informazioni e prove che la Russia si stava rafforzando militarmente e preparando alla guerra».
Modalità fiume in piena: «Dovevamo aiutare il popolo ucraino prima ancora che i russi si muovessero»; al contrario, da parte del Commander in Chief sfoggio di una «esitazione enorme» nonché tutta la gestione firmata da questa «sciagurata presidenza» bollata come «assolutamente inspiegabile».
Per Pompeo, insomma, Washington è in mano a una manica di dilettanti.
Con tanto di conseguenze nefaste non soltanto per Kiev e dintorni, ma pure per Taiwan, appunto.
«Xi Jinping ci osserva», «ci percepisce come dei rammolliti» e ha più volte e apertamente dichiarato di voler «riunificare Taiwan alla sua Cina comunista».