Giorgia Meloni rinvia l'Opa, no ai cambi di casacca: i timori nel governo per la possibile uscita dei parlamentari di Forza Italia

Il premier vuole limitare la diaspora: ogni cambiamento sarà concordato

Giorgia Meloni rinvia l'Opa, no ai cambi di casacca: i timori nel governo per la possibile uscita dei parlamentari di Forza Italia
Giorgia Meloni rinvia l'Opa, no ai cambi di casacca: i timori nel governo per la possibile uscita dei parlamentari di Forza Italia
di Francesco Malfetano
Mercoledì 14 Giugno 2023, 10:03 - Ultimo agg. 16:16
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Il vero timore per l'esecutivo ora è solamente uno: che Forza Italia non sappia trasformarsi e «finisca con l'implodere». E cioè, nelle parole di chi ha contribuito a usare il bilancino per la creazione della squadra meloniana, che il disperdersi tra mille rivoli dei 63 parlamentari azzurri faccia venir meno la «serenità d'Aula» e porti ad un «logoramento» della maggioranza. 

Oggi - è la teoria forte tra i fedelissimi della premier Giorgia Meloni - c'è «stabilità perché siamo insieme» e «perché l'ampio orizzonte della legislatura» è una garanzia per tutti gli eletti. Ma se dovesse iniziare davvero una diaspora le cose potrebbero cambiare drasticamente. E così, per quanto si metta in conto che qualche cambio di casacca da qui a settembre potrebbe esserci, tra gli obiettivi di Meloni c'è proprio quello di limitare al minimo le eventuali uscite da Forza Italia. Sia verso Fratelli d'Italia sia, garantisce un ministro in quota via della Scrofa, «verso le ambizioni leghiste». E quindi: qualche «slittamento» sarà tollerato ma «ogni mossa andrà concordata in maniera preventiva». Anche perché se pure oggi la depotenziata ala ronzulliana dovesse muoversi verso il Carroccio (ipotesi al momento considerata poco probabile), l'uscita non avrebbe il potenziale esplosivo per distruggere Forza Italia. Anzi, paradossalmente finirebbe con il rafforzare l'interregno di Marta Fascina e soprattutto del vicepremier Antonio Tajani, tra l'altro fautore della probabile intesa tra il Partito popolare europeo e i Conservatori guidati da Meloni. Per di più, continua sull'onda delle previsioni un parlamentare azzurro di lungo corso, «se il partito non dovesse sopravvivere e Tajani finisse in FdI con i suoi, a vincere sarebbe solo Meloni. Salvini non ne guadagnerebbe nulla».
E infatti anche dalla Lega trapela solamente la volontà di continuare a lavorare «in armonia», evitare litigi e incomprensioni e «limitare i danni». 

In altri termini almeno fino a quando la campagna per le Europee del 2024 non sarà entrata nel vivo - o auspicabilmente a risultati consolidati - si cercherà di garantire l'esistenza pacifica dell'attuale compagine di maggioranza, con o senza l'accordo tra il Partito popolare europeo e i Conservatori.

Anche perché, almeno in una parte di FdI e della Lega, è forte la convinzione che sarebbe «un errore» considerare già finita l'esperienza del berlusconismo. «Non è che il MSI è crollato dopo la morte di Almirante. Né lo ha fatto il Partito comunista dopo Berlinguer» spiega uno dei colonnelli meloniani.

Anzi c'è chi ritiene che i sondaggi degli ultimi giorni che vedono un trend di crescita per Forza Italia o addirittura un exploit fino al 13% dei consensi (Winpoll, prima rilevazione dopo la morte di Silvio) non vadano affatto sottovalutati. «In Italia dopo la morte c'è la beatificazione e rimangono solo i pregi. Fra un anno l'effetto elettorale di Berlusconi potrebbe essere tutt'altro che concluso». 

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Una speranza che cementa l'intenzione di Fratelli d'Italia di sostenere la transizione forzista, trasformandosi da forza politica personale a partito strutturato che pur in assenza di leadership nette possa contare su equilibri definiti, una tangibile democrazia interna e ruoli decisionali riconosciuti. 

Da qui anche la scelta degli interlocutori da parte di Meloni che, proprio in nome della stabilità del suo governo, bypassa ogni schermaglia politica e dialoga con chi tiene le redini dell'eredità di FI senza calarsi nell'agone: Marina Berlusconi e Gianni Letta. La chiave, spiegano attorno alla premier, sono loro. Fino alle Europee saranno garanti dello status quo. Dopo è presto per dirlo.

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