Arrivano alla spicciolata, le espressioni incredule. «Ma è vero? Bruno?». Piazza Sant'Eustachio, ora di pranzo. La notizia della morte di Bruno Astorre rimbalza nei palazzi semivuotidella politica. È venerdì, giorno che i parlamentari dedicano all'attività sul territorio. E il Senato, il cui ingresso si trova a pochi metri da palazzo Cenci, dov'è avvenuta la tragedia, non fa eccezione. Deserto il salone Garibaldi, deserta o quasi la buvette, dove gli unici a tormentarsi sono un pugno di dipendenti di Palazzo Madama. Commessi, uscieri, addetti al servizio bar. «Una persona di rara gentilezza», lo descrivono: «Mite, sorridente, anche nei momenti di maggior tensione dice uno di loro non ricordo di averlo mai sentito gridare». Fuori dal palazzo, intanto, le bandiere vengono abbassate a mezz'asta, su disposizione del presidente Ignazio La Russa. Che appena atterrato dal volo di Stato per Israele, telefona a Simona Malpezzi, capogruppo dem, per farle le condoglianze. E assicura «massima disponibilità e collaborazione» alla procura sul fronte delle indagini.
In piazza Sant'Eustachio, nel frattempo, si raduna una piccola folla. Tanti i colleghi dem, tra cui i deputati Andrea Casu, Claudio Mancini, Michela Di Biase. E poi Walter Verini, Beatrice Lorezin, Cecilia D'Elia, il cui ufficio si trova proprio nella stanza di fianco a quella di Astorre, a palazzo Cenci. «C'eravamo salutati ieri si limita a raccontare la senatrice sembrava tutto come sempre, invece...».
IL RICORDO
«A quanto pare, non avevamo capito nulla», si rammarica Antonio Misiani, con cui Astorre aveva condiviso questa e la scorsa legislatura: «Se c'erano dei segnali, putroppo non li abbiamo colti», osserva. «Certo, a ripensarci oggi forse ultimamente forse era meno loquace, ma non mi sarei mai immaginato quello che è successo».