Castellano: «Carceri, stop ai droni ma la svolta è il lavoro»

La provveditrice degli istituti campani: fermiamo droga e cellulari

Lucia Castellano
Lucia Castellano
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 17 Agosto 2023, 09:48 - Ultimo agg. 13:28
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Ha imparato sulla sua pelle che certi problemi non si affrontano solo con le attività di repressione. Sa bene che per ogni intervento punitivo bisogna mettere sul tappeto anche modelli formativi in grado di tutelare la dignità della persona. Eccola, dunque, la provveditrice delle carceri campane Lucia Castellano, alla luce del ferragosto trascorso a visitare il penitenziario di Avellino, in piena sintonia con una strategia nazionale messa in campo dal Dap, nell'estate in cui torna d'attualità il sovraffollamento nelle celle.

Provveditrice, quali sono le emergenze più attuali legate al mondo delle carceri, dal suo punto di vista?
«I problemi più urgenti e all'ordine del giorno sono legati ai traffici di cellulari e di droga all'interno delle celle. Purtroppo è un fenomeno non solo locale, ma nazionale, contro il quale da tempo combattiamo, come emerge chiaramente dalle centinaia di sequestri e di denunce che mettiamo in campo. Lo abbiamo segnalato da tempo e sappiamo che anche nei prossimi mesi dobbiamo attrezzare delle risposte in materia di intelligence, per arginare una deriva che a volte vanifica il lavoro messo in campo da direttori, funzionari, esponenti della polizia penitenziaria, volontari e assistenti sociali».

A cosa fa riferimento?
«Vede, se un carcere diventa una piazza di spaccio, si riproducono dinamiche di clan e di appartenenza che affliggono anche detenuti che hanno intrapreso un percorso in modo virtuoso».

Può fare un esempio?
«Ci sono stati casi di persone che, dimostrando forza di volontà e spirito di collaborazione, hanno ottenuto permessi per andare a lavorare all'esterno.

Ebbene, proprio queste persone sono a rischio, perché viene chiesto loro di introdurre droga o cellulari in cella. Tutto ciò - quando viene a galla - mina alla base un percorso di inserimento nel quale avevamo riposto energia e speranze. Stesso discorso per chi si indebita con il pusher di turno, acquistando droga, sentendosi poi costretto a chiedere di essere trasferito in un altro carcere, senza un motivo apparente. Anche in quel caso, si rischia di ridare concretezza a dinamiche criminali che credevamo di aver spezzato».

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Hanno fatto scalpore le immagini postate sui social di detenuti che, usando smartphone, sfidano lo Stato, lanciando messaggi all'esterno. Come reagire di fronte a tutto ciò?
«Avremo presto, in Campania, macchine antidroni e reti di rigetto per bloccare gli ingressi dal cielo, mentre intensifichiamo controlli e verifiche nel corso dei colloqui o in altri momenti della vita detentiva».

Lei parla di macchine antidrone: questo perché droga e cellulari arrivano anche dall'alto?
«Purtroppo sì. È una realtà. Sembra fantascienza ma è così. Siamo allertati per creare argini adeguati a un fenomeno tanto diffuso. È il modo principale per bloccare traffici di cellulari e droga che riproducono dinamiche simili a quelle che avvengono in alcuni territori metropolitani, oltre a sancire la leadership di boss sui rispettivi seguiti mafiosi. Un detenuto di alta sicurezza che fa girare un proprio messaggio agli affiliati o che posta un proprio intervento su TikTok crea inevitabili contraccolpi al piano di contrasto al crimine messo in campo dallo Stato. Non è un problema solo campano, è bene affrontare questi scenari in un'ottica nazionale, ovviamente lavorando gomito a gomito con le Procure e con gli altri soggetti interessati alla sacrosanta riabilitazione dei nostri detenuti. Ma ci tengo a dire che non basta, serve altro».

A cosa fa riferimento?
«Non ha senso ragionare solo in termini coercitivi o repressivi. Denunce e sequestri sono all'ordine del giorno, ma non serve solo il rigore degli interventi. Bisogna credere nel dialogo formativo, facendo leva sulla straordinaria umanità che appartiene alla stragrande maggioranza delle persone recluse. Mi creda, non è un luogo comune, ma esperienze come lavoro e teatro, dialogo e confronto tra direttori e reclusi, tra animatori e detenuti restano il terreno di sfida più importante. In questo senso, quando si costruisce un percorso fondato sul dialogo, sarei anche disposta a rivedere la questione dell'uso dei cellulari o della rete in carcere».

In che senso?
«Andrebbe ripensato un accesso - ovviamente controllato - alle mail e ai servizi che la contemporaneità offre per preparare un cittadino al rientro alla vita normale. Una possibilità da affrontare in campo normativo, su cui credo sia opportuno un confronto a più voci».

Il caso di Torino, con due detenute suicide, riapre vecchie ferite. Possiamo fare un focus sulle carceri campane?
«Prenda Santa Maria Capua Vetere. In passato teatro di situazioni limite attualmente al vaglio dei giudici: le assicuro che qui ci sono progetti lavorativi che ci danno soddisfazione. C'è lavoro e si produce, all'insegna della progettualità piena, grazie alla voglia di rimboccarsi le maniche della direzione, del personale e degli stessi detenuti. C'è una sartoria, qui si fanno camicie e divise per gli agenti di polizia penitenziaria; presto aprirà un birrificio, esiste un laboratorio di pasticceria, perché c'è chi crede in una seconda chance. A Secondigliano esiste un polo universitario di tutto rispetto, ma anche una filiera di produzione agricola importante; pensi che c'è una impresa che ha mostrato interesse per un progetto nel fotovoltaico. E non è finita: a Benevento esiste una strategia per convertire i rifiuti in compost di qualità, mentre si lavora su un più ampio progetto finalizzato a dare una connotazione a ciascuna casa circondariale».

A cosa fa riferimento?
«Ogni istituto deve avere una sua funzione, non solo contenitiva o di smistamento, ma deve inserirsi in una più ampia rete di formazione. Come le dicevo, se si pone al centro la dignità della persona, non si interviene solo con lo strumento della denuncia o del trasferimento, perché in ballo c'è la credibilità dello Stato nella sua funzione più alta».

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