Sono state decisioni dall'evidente 'carattere politico' quelle del Governo guidato da Giuseppe Conte i cui ritardi e le inefficienze nell'adozione delle misure organizzative e restrittive, necessarie a fronteggiare il Covid nella prima fase dell'emergenza, non hanno causato l'epidemia. È uno dei passaggi del provvedimento con cui oggi il Tribunale dei Ministri di Roma ha archiviato la posizione dell'ex premier e di gran parte del suo esecutivo, accusati di epidemia colposa, omicidio colposo plurimo, abuso d'ufficio, e finanche attentato contro la Costituzione e contro i diritti dei cittadini. Una serie di reati ipotizzati dopo la raffica di denunce arrivate da tutta Italia, a partire da tre anni fa esatti, da parte di familiari delle vittime riuniti in comitati, associazioni di consumatori e rappresentati di sigle sindacali e che oggi sono stati ritenuti insussistenti da un collegio di giudici appositamente chiamato a valutare i reati cosiddetti ministeriali.
Le motivazioni dell'archiviazione
Mentre una parte della maxi indagine di Bergamo sulla prima fase della gestione del Coronavirus in Val Seriana è stata trasmessa ai pm della capitale che valuteranno se iscrivere di nuovo nel registro degli indagati gli ex numeri uno del dicastero della salute Roberto Speranza, Beatrice Lorenzin e Giulia Grillo e una serie di tecnici per la mancata attuazione del piano pandemico, il Tribunale dei Ministri ha 'assoltò, con una archiviazione, una serie di componenti dell'allora esecutivo: oltre a Conte e Speranza anche Luciana Lamorgese, Lorenzo Guerini, Luigi Di Maio, Roberto Gualtieri e Alfonso Bonafede.
Offre invece un quadro diverso l'inchiesta di Bergamo in cui in totale gli iscritti sono 22. Tra questi come già anticipato nei giorni scorsi da Report e l'Eco di Bergamo, le due ex ministre Lorenzin e Guerra, la cui posizione è più attenuata rispetto a quella di Speranza: rispondono solo di omissioni di atti, e non di epidemia colposa come il loro successore con i suoi tecnici, accusati anche di non aver applicato il piano pandemico anche se datato 2006. Per il mancato aggiornamento del piano pandemico la competenza è della Procura di Roma che dovrà vagliare se condividere l'impostazione di quella bergamasca. Intanto dagli oltre 30 faldoni dell'inchiesta chiusa la scorsa settimana e che vede indagati anche Conte e il governatore della Lombardia Attilio Fontana per la mancata istituzione della zona rossa in Val Seriana, spuntano ancora molti particolari di quei giorni in cui l'Italia è stata travolta da quella che è stata definita «un'onda anomala». Già l'11 febbraio 2020, una decina di giorni prima del primo caso Covid accertato a Codogno, l'allora viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri chiese di «effettuare una ricognizione sui reparti di malattie infettive esistenti, sul numero dei posti letto dedicati 24ore su 24, sul numero dei respiratori e di personale disponibile». Ma Giuseppe Ruocco, all'epoca segretario generale del Ministero e anche lui tra gli indagati, come riportato nelle carte, avrebbe risposto che era «sufficiente» una «mappatura rispetto ad uno scenario di bassa gravità». Invece, come ha messo a verbale l'allora capo di Gabinetto del ministero, Goffredo Zaccardi, sarebbe stata «una scelta del Presidente del Consiglio e degli altri ministri» opporsi alla zona rossa a Nembro e Alzano lombardo e «spostare l'attenzione verso l'evolversi dell'epidemia in aree vaste del Paese» . Al contrario il «ministro Speranza era favorevole».
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