Si chiama indice di progettualità e misura, come ben spiegato da Luca Bianchi alla presentazione del Rapporto Svimez 2023, «la capacità dei Comuni (destinatari come soggetti attuatori di 32 miliardi di risorse Pnrr, di cui il 45% al Sud, ndr) di tradurre in bando le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza». Proprio dal Rapporto Svimez era emerso l'altro giorno che, limitatamente ai Comuni, sono attualmente a gara «solo un terzo dell'importo finanziato», il 31% rispetto al 60% del Centro-Nord. Ieri, a ribadire che l'indice della velocità di affidamento delle risorse, ovvero la capacità degli enti locali e delle Regioni (non solo i Comuni, dunque) di avviare l'apertura dei cantieri finanziati è molto più basso al Sud, è una memoria inviata al Senato l'Ufficio Parlamentare di Bilancio, l'organismo indipendente che monitora le previsioni del Governo su temi macroeconomici e politiche di bilancio. E il dato, se possibile, è ancora più sconfortante: perché non è più una questione di gare andate deserte, come pure in un primo momento si era detto (secondo l'Anac, delle 104.603 gare del Pnrr in Italia, solo lo 0,54% - cioè 561 - è andato deserto o risulta annullato). Il problema di fondo era e rimane l'evidente difficoltà della macchina amministrativa dei territori meridionali di cogliere fino in fondo le nuove opportunità, con l'aggravante che il sistema dei bandi ha finito per complicare ulteriormente la situazione. Senza personale numericamente adeguato, soprattutto nei Comuni, nonostante i rinforzi che pure stanno arrivando attraverso i concorsi pubblici; e soprattutto senza le necessarie competenze, sempre più indispensabili per essere all'altezza della sfida, il ritardo del Mezzogiorno nell'attuazione del Pnrr sta diventando un caso nazionale, o quasi. Se è vero infatti che a fine novembre, l'assegnazione ai soggetti attuatori delle risorse è stata sostanzialmente completata «con celerità non dissimile tra Nord, Centro e Mezzogiorno», è quando si passa all'avvio vero e proprio delle gare e alla loro aggiudicazione che il Sud perde terreno. L'Upb spiega che mentre le Regioni del Centro e del Nord registrano quote di gare avviate rispettivamente del 30,1 e del 27,7%, nel Mezzogiorno la quota si abbassa al 19,3%. Le differenze, poi, si accentuano considerando le aggiudicazioni già avvenute: «Nel Mezzogiorno risulta assegnato solo il 9,4% dei progetti finanziati, contro il 14,1% del Nord e il 15,2% del Centro».
Sono differenze che pesano se si considera che il Sud resta l'area del Paese che più dovrebbe sfruttare l'opportunità del Pnrr per ridurre il divario.
Certo, non è solo un problema meridionale la lentezza con la quale vengono aperti i cantieri del Piano di ripresa e resilienza. L'Ufficio parlamentare di bilancio ricorda opportunamente, sulla base delle informazioni contenute nella piattaforma Regis (il sistema di monitoraggio e rendicontazione del Pnrr), che alla data del 26 novembre risultano spesi complessivamente solo 28,1 miliardi di euro, pari a circa il 14,7% del totale delle risorse europee assegnate all'Italia. Risorse che sono aumentate a 193,5 miliardi dopo l'ok di Bruxelles alla revisione del Piano che è stato di fatto ridisegnato, come dice Raffaele Fitto, per evitare discussioni tardive e a quel punto improduttive sui progetti che non arriverebbero alla scadenza in tempo utile. Resta però il dubbio sulla risposta del Sud la cui ripresa, lo ha detto l'altro giorno la Svimez, ha poggiato in questi mesi soprattutto su turismo ed edilizia. Non è un caso che al primo posto tra le misure che hanno assorbito maggiori risorse finora ci sono quelle relative agli incentivi ai privati, con gli 8,7 miliardi per il rafforzamento dell'Ecobonus e del Sismabonus davanti ai 5,4 miliardi per Industria 4.0, e ai 2,5 miliardi ai Comuni per interventi sulla valorizzazione del territorio e l'efficienza energetica. L'esigenza di attuare il Pnrr, evitando la recessione al Sud, non potrà non tenerne conto.