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Rai, Draghi prepara la rivoluzione: nuovo ad senza sentire i partiti

di Alberto Gentili
Articolo riservato agli abbonati
Lunedì 3 Maggio 2021, 07:00
4 Minuti di Lettura

La grandinata di richieste di dimissioni, di ogni colore politico, precipitata sul vertici della Rai non spinge Mario Draghi ad accelerare. Il premier preferisce far decantare la situazione e veder diradare i fumi delle artiglierie prima di aprire il dossier sulle nomine della tv pubblica. Di tempo però non ce n'è molto. 

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L'amministratore delegato Fabrizio Salini e il presidente Marcello Foa, scelti a suo tempo da M5Stelle e Lega, hanno i giorni contati: il consiglio di amministrazione di viale Mazzini scade a fine giugno. E per quella data il governo, tramite il ministero dell'Economia, dovrà indicare chi succederà a Salini e Foa. 

Da quel che filtra da ambienti governativi, Draghi appare intenzionato a scegliere in «completa autonomia» il nuovo ad e il nuovo presidente di garanzia (deve ottenere i due terzi della Commissione di Vigilanza), così come farà per Ferrovie e Cassa depositi e prestiti, le altre due società partecipate con i vertici in scadenza. E il Mef ha affidato alla società Egon Zehnder una prima scrematura dei possibili candidati che, al contrario che nelle tornate passate, dovranno essere interni o conoscere bene l'azienda. L'obiettivo: rilanciare gli ascolti e mettere in sicurezza i conti, evitando di scegliere nuovamente dei marziani com'è accaduto con Antonio Campo dell'Orto e lo stesso Salini. 

Tra i nomi che circolano per il ruolo di ad c'è quello di Tinny Andreatta, un passato in Rai e ora in Netflix (questo potrebbe essere un problema a causa della clausola di non concorrenza), molto apprezzata da Enrico Letta. Il segretario del Pd, non a caso, invita Draghi a garantire «una fortissima discontinuità rispetto all'attuale gestione». E chiede ai partiti di «dimostrare non a parole, ma con scelte e atti concreti», di voler rinunciare all'ennesima lottizzazione. 

In corsa per i gradi di ad ci sono anche Carlo Nardello (un passato a Raicom) che Luigi Gubitosi ha portato in Tim, Fabio Vaccarono di Google Italia ed Elisabetta Ripa, attuale ceo di Open Fiber sponsorizzata dalla Lega. Ma è probabile che a causa del tetto di 240mila euro di stipendio, imposto dalla legge Madia, alla fine prevalgano scelte interne. In pole: Paolo Del Brocco, ora alla guida di Rai Cinema, e Marco Ciannamea, responsabile dei palinsesti, molto stimato da Matteo Salvini. La prova? Il capo leghista proprio ieri ha messo a verbale: «Basta sinistra, il prossimo ad sia interno».

Video

Per il ruolo di presidente circola forte il nome di Paola Severini Melograni (giornalista e produttrice tv) che se dovesse prevalere l'ipotesi Tinny Andreatta come ad andrebbe a formare il primo ticket in rosa per la tv pubblica. Altra opzione: Alberto Quadrio Curzio, un economista apprezzato da Draghi. C'è però anche chi caldeggia altre soluzioni, come quelle di Ferruccio De Bortoli, Marcello Sorgi o Nino Rizzo Nervo. «Ma questi padri nobili, con le credenziali giuste per rivestire il ruolo di presidente di garanzia», dice il deputato di Italia Viva esperto di tv pubblica, Michele Anzaldi, «potrebbero scendere in campo solo a condizione che venga tolto l'obbligo per i pensionati di lavorare in ruoli dirigenziali solo a titolo gratuito e con il limite di un anno: se non si cambia la legge Madia in Rai non verrà nessuno con uno standing adeguato».

Quasi completo, invece il puzzle del Cda. Il Pd è pronto a sacrificare Rita Borioni per Silvia Costa o Daniela Tagliafico, ex capo di Rai Quirinale. I 5Stelle vanno verso la conferma di Beatrice Coletti, come dovrebbero essere confermati Igor De Blasio (Lega, su cui però pende un problema di conflitto d'interessi), Riccardo Laganà (rappresentante dei dipendenti) e Gianpaolo Rossi vicino a Fratelli d'Italia. Ma c'è chi fa il nome di Francesco Storace, ex presidente della Vigilanza. 

Dopo il caso Fedez-Rai è però tornata forte l'invocazione per una riforma della governance. La chiede Giuseppe Conte a nome dei 5Stelle: «Questo è il momento giusto per riformare la Rai e sottrarla alle ingerenze della politica. Buona parte delle forze politiche rappresentate in Parlamento appoggiano il governo e questo può agevolare una convergenza su un progetto riformatore per istituire una fondazione che offra le necessarie garanzie di autorevolezza e pluralismo e diventi l'azionista di riferimento della Rai». La riforma è sollecitata anche dal Pd con il ministro del Lavoro, Andrea Orlando: «Va stabilita una distanza tra la Rai e la politica e ciò è possibile soltanto con la nascita di una fondazione». Ma come dice un altro ministro dem, «di tempo ce n'è poco e tutti parlano di chi mettere in Rai, non di come cambiare la governance della Rai...».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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