Regionali, il centrodestra ricandida i governatori uscenti: l'intesa dopo la Sardegna. Tregua sui tre mandati

FdI, Lega e FI confermano Bardi, Cirio e Tesei in Basilicata, Piemonte e Umbria

Regionali, il centrodestra ricandida i governatori uscenti: intesa dopo la Sardegna. Tregua sui tre mandati
Regionali, il centrodestra ricandida i governatori uscenti: intesa dopo la Sardegna. Tregua sui tre mandati
di Francesco Malfetano
Giovedì 29 Febbraio 2024, 00:02 - Ultimo agg. 1 Marzo, 08:33
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La lezione sarda, alla fine, sembra essere servita davvero al centrodestra. Dopo ore di confronti, stop&go e impasse strategici, un giro di telefonate tra Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Antonio Tajani, ha permesso di trovare la quadra sulle prossime elezioni Regionali. Un’intesa, spiega chi ha assistito da vicino al confronto tra i leader, consacrata da quel «restiamo insieme» scandito all’indomani della vittoria di Alessandra Todde.
«I presidenti di Basilicata, Piemonte ed Umbria che hanno ben governato saranno i candidati di tutto il centrodestra unito ai prossimi appuntamenti elettorali» si legge infatti in una nota congiunta. È il primo effetto della disfatta di Paolo Truzzu. L’aspirante governatore sardo ha in pratica mandato in soffitta - almeno fino a dopo le Europee - il tentativo meloniano di riequilibrare i rapporti di forza all’interno del centrodestra. Vale a dire che ora potranno sperare nella riconferma sia l’azzurro lucano Vito Bardi (al voto il 21 e il 22 aprile) che quello piemontese Alberto Ciro (alle urne all’election day di giugno), ma anche l’umbra leghista Donatella Tesei, in corsa però solo il prossimo autunno.

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Più facile a dirsi che a farsi.

Al tavolo infatti, non sono mancate frizioni. Se il principio «della riconferma degli uscenti» chiesto a gran voce da Carroccio e berlusconiani era diventato difficile da rigettare per Giovanni Donzelli, più difficile è stata la contrattazione sul Tesei. Pur non nutrendo particolari riserve sul nome (per di più considerando la regione Umbria una delle più difficili in cui riconfermarsi), Fratelli d’Italia avrebbe preferito sospendere la decisione. La Lega però non ha voluto sentire ragioni. Così come, a parti esattamente invertite, non è risultato efficace il pressing con cui il Carroccio ha cercato di inserire all’interno del pacchetto negoziale anche il capitolo Veneto. Sul fronte Nord-Est alla fine, è stato tutto rinviato. 

LE TRATTATIVE
Eppure i salviniani, dopo aver sacrificato non senza polemiche Christian Solinas, avevano aperto le trattative chiedendo proprio un cenno di disponibilità agli alleati su una partita tanto vitale per i propri equilibri interni. Secondo le ricostruzioni offerte dai vertici del Carroccio, il responsabile degli Enti Locali Stefano Locatelli aveva squadernato due diverse possibilità a FdI, FI e Noi moderati: o il via libera al Senato all’emendamento al Dl elezioni che consentirebbe a Luca Zaia di concorrere nuovamente alla carica di governatore; oppure, in alternativa, la definizione di un principio di massima da rispettare d’ora in poi. «Anche dopo due mandati - spiegano da via Bellerio - nelle Regioni in cui governiamo, il diritto di esprimere il nome del candidato spetta a chi ha vinto la tornata precedente». Tradotto: il Veneto resta leghista e Zaia, pur dovendo rinunciare allo scranno più alto, può sostenere un nome alternativo per la presidenza attraverso una sua lista (tre anni fa capace di raccogliere da sola 916mila voti). Se Fratelli d’Italia invece, ritiene di non essere abbastanza rappresentata a livello territoriale deve conquistare le Regioni governate dal centrosinistra. Non strapparle ai suoi alleati con una prova di forza. 

LE OPZIONI
Né l’una né l’altra opzione paventata dai leghisti è però rientrata all’interno dell’intesa finale. Anzi, a dimostrare che la fitta rete di rimpalli e riflessi che dominano la partita si è tutt’altro che esaurita, assieme alla nota congiunta si diffonde immediatamente la voce che la Lega - in cambio del solo via libera umbro - avrebbe accettato di ritirare l’emendamento atteso in Aula. «Un gesto di buona volontà» che consentirebbe ad FdI di evitare l’apposizione della fiducia sul testo (pratica che farebbe decadere tutte le modifiche) ma che fonti del Carroccio smentiscono in maniera categorica. In pratica quella che va configurandosi è più che altro una tregua armata, destinata a durare almeno fino alle elezioni europee dell’8 e 9 giugno. Poi si vedrà, in base a chi - con il sistema proporzionale a guidare il gioco - ne uscirà vincitore e chi sconfitto. 

Del resto, la premier, lo ha chiarito di nuovo ieri, intervistata al Tg2 Post: «Penso che le sconfitte siano un’occasione per mettersi in discussione: lo prendo come uno sprone a migliorare e fare ancora di più e meglio». Stavolta è toccato a FdI, a giugno chissà.
 

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